ROMA - Alla fine, biglietto di sola andata per Buenos Aires. Alla fine, ma anche al principio. Tutto finisce dove tutto è cominciato. Sfrattato dalla sua casa naturale, Daniele De Rossi ha scelto la sua casa mitologica. Là dove il calcio nasce, non come regole e codificazioni, ma come passione estrema. Farà il percorso contrario. Di solito sono gli argentini che vengono in Italia per farsi conoscere nel mondo e ingrassare il loro conto in banca, lui va da loro senza altro movente che essere uno di loro, uno di quelli che hanno vestito la maglia del Boca nello stadio dei miti. La “Bombonera”. Come e più dell’Old Trafford, come e più dell’Anfield, uno dei pochi al mondo dove dire “abbiamo giocato e vinto in 12” non è un rifugio retorico della parola, ma la nuda e brutale verità, un concetto casomai al ribasso.
Là, in quello stadio, quello che accade non è l’aggregazione di forze, ma la liquefazione e la fusione delle stesse, dei corpi fisici e delle presunte anime. Se qualche ostinato ha bisogno ancora di toccare con mano dove “sta” Daniele De Rossi, può tranquillamente saltare tutti gli altri capitoli e limitarsi a questo. Una scelta che parla da sé e che Daniele non ha bisogno di raccontare, avendola già raccontata a se stesso in questi lunghi giorni di torturante rovello. Unico anche qui. Tanti oriundi, tanti naturalizzati, ma nessuno come lui. Daniele De Rossi sarà il primo calciatore nato e cresciuto in Italia a giocare in Argentina. L’aveva raccontato tante volte agli intimi e poche volte in pubblico. “Quello stadio mi toglie il respiro, è il più bello del mondo”. I video di Maradona da bambino, il suo primo tatuaggio.
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