L'addio a Fabio Melillo: in ricordo di un amico, un uomo di sport

L'ex allenatore della Ternana verrà ricordato questa sera con un minuto di silenzio durante la sfida di qualificazione agli Europei tra le azzurre e la Finlandia
L'addio a Fabio Melillo: in ricordo di un amico, un uomo di sport© Getty Images
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In ricordo di un mio amico. Uomo di sport e di Corsport. Il Corriere dello sport c’è sempre stato. Quando da ragazzini, al campeggio, iniziavamo la giornata leggendo di calcio mercato. E anche in quell’ultimo caldo giorno di Luglio, quando sul feretro, oltre alle magliette firmate da tante ragazze, c’era il giornale, aperto sulle pagine dedicate alla Roma. Fabio Melillo è stato tante cose, come, benissimo, ha scritto la vostra Valeria Ancione.

Era il compagno amorevole di Vanessa, mitologico centravanti. Era un padre, per i suoi figli e per tante, tantissime atlete di ieri e di oggi. Fino a ieri è stato l’allenatore della Ternana femminile, dopo aver vinto sei scudetti Primavera. Tre con la Roma, e tre con la Res. La Res l’aveva inventata lui. E con la Res aveva lanciato il calcio femminile a Roma. Una volta mi disse che aveva scelto quel nome, “Res”, perché in latino significava “cosa”. Una cosa nuova, una cosa di donne, una cosa di Roma. Era il “sogno di Vanessa”. Così chiamava la sua creatura.

E pensare che proprio il latino, insieme al calcio, ci avevano legati, da quando eravamo compagni di banco, dalla quarta ginnasio e poi per cinque anni. Giocavamo a pallone tutti i giorni. Iniziavamo dopo pranzo e continuavamo finchè c’era luce. Io poi, ad un certo punto andavo via, perché dovevo fare le versioni. Di latino, appunto. Lui mi insultava, perché non finivo la partita. Ma poi lo chiamavo, e gliele “passavo” perché potesse prepararsi. Diceva sempre che io avevo due diplomi. Il mio e il suo. Ma non era vero, quella era una carezza, tra eterni compagni di banco. Giocavamo un calcio diverso, di strada. Che molti hanno conosciuto. Campetti improbabili, in pendenza, più larghi che lunghi, squadre di ragazzini convocati nei vari condomini della Cassia. Vestiti inverosimili. Alcuni giocavano con i pantaloni, altri con i mocassini di cuoio, con i lacci. Charlie Brown ci avrebbe capiti. Anche se lui e i suoi amici non conoscevano la gioia di un gol. Madamillo, Muto, Ufo, Roscio, Gattuccio… erano quelli i Peanuts… de noantri. La domenica mattina, no. Li era roba seria. Io in porta, e Fabio contro Marco. Uno contro uno. Sotto il sole e sotto la pioggia. Sfide vere. Da fenomeni. E quegli spiazzi terragni e fangosi diventavano l’Olimpico.

Fabio è stato mio fratello. Ma era anche il mio personale dio del calcio. Le partite quotidiane gli servivano anche per selezionare i convocati per le due grandi sfide. Centrale contro Succursale. Le due sedi del liceo si affrontavano, due volte l’anno. A Natale e a Carnevale. E il nostro piccolo mondo si fermava. Lui non era il Mister, non ancora. Ma le convocazioni le faceva lui. Tempi diversi. Quelle sfide… Il nostro Derby. Sedi diverse. Destra contro sinistra. Periferia contro quartieri nobili. Certezze contro riscatto. Duemila spettatori. Nonni, zii, compagni di scuola. Vincevamo noi. Sempre. Io giocavo in porta. Ero convocato. E non dormivo per due notti. Quella prima della sfida, e quella dopo. Una volta parai un rigore. Melillo venne da me e mi disse: “sono fiero di te”. Per un giorno, o forse per sempre, nel piccolo olimpo del calcio d’una volta, il dio del calcio faceva entrare anche me.

Poi dopo il Liceo perdemmo la frequentazione quotidiana. Non l’essere fratelli. Per questo quattro anni fa mi chiamò per chiedermi una mano per la Res. E diventai presidente. Le convocazioni, le faceva sempre lui. La Res. Una specie di “Isola che non c’è”. O che non c’è più. Passioni fortissime, legami indissolubili. Il calcio come espressione di cultura e di vita. Donne al centro. Non per caso. Un clan di elette ed eletti a proteggere un sogno di gioventù. Con la stessa serietà con cui, su quel banco, facevamo le formazioni. Per la sfida del liceo e per la partita della Lazio e della Roma. Lui romanista totale. Io laziale senza esitazioni. Su quel feretro, in quel caldo giorno di luglio, c’era il giornale. Fabio riposava lì con il suo immancabile cappello a visiera, indossato al contrario. Sul feretro c’era anche un pallone, ovviamente. Non c’era il vocabolario di latino. Ma c’era la maglietta rossa e gialla con su scritto Res. Una cosa. Una cosa grande.

Francesco Sortino


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