A dar credito alle parole di De Ligt riportate dal suo nuovo allenatore Nagelsmann («Ho parlato con lui dopo l’allenamento e mi ha detto che l’ultima sessione è stata la più dura degli ultimi quattro anni. Io dico che è stata difficile, ma non così tanto...») si può cominciare a capire perché in area di rigore un difensore da 80 milioni fosse capace di trasformarsi talvolta in pallavolista, talaltra di tardare l’intervento e in tutt’e due i casi di combinare qualche frittata: Sarri, Pirlo e Allegri, i suoi allenatori italiani, evidentemente non lo preparavano a dovere.
C’è sempre una punta di compiacimento negli stranieri (nei tedeschi poi...) a punzecchiare il calcio italiano. Magari in certi casi hanno pure ragione, ma generalizzare è una sciocchezza. A Nagelsmann avranno raccontato la storiella che Ancelotti non faceva lavorare duramente i giocatori del Bayern e per questo è stato licenziato. In effetti Ancelotti ha vinto solo 4 Champions League, due col Milan e due col Real (più ha disputato un’altra finale), e per arrivare in fondo a quella Coppa una squadra deve essere preparata, altrimenti si sgonfia prima. Quanto agli allenatori del triennio bianconero di De Ligt, beh uno, Sarri, ha vinto un’Europa League (la coppa più faticosa) e l’altro, Allegri, è arrivato due volte in finale di Champions. Però, se non ci facciamo prendere dalla stizza (e la chiudiamo, a proposito di preparazioni fisiche, ricordando il trauma calcistico che nella storia abbiamo creato alla Germania, dal ‘70, all’82, al 2006, in mondiali che si giocavano a fine stagione), quanto ha detto De Ligt può servirci per una riflessione. Dopo l’atletismo (sorretto dalla classe di immensi campioni, questo sia chiaro) di Sacchi, oggi gli esempi italiani di un calcio fatto di aggressività e intensità sono quelli di Conte e Gasperini. Il confronto con le europee ci vede soccombere per evidenti ragioni tecniche ma qualche volta anche per una differente preparazione. Lavoro, mentalità, preparazione. Gli inglesi e i tedeschi giocano a un ritmo spesso insostenibile per le italiane.
Qualche anno fa, durante una conferenza stampa della Nazionale a Coverciano, uno degli ultimi grandi difensori-marcatori del nostro calcio, Andrea Barzagli, spiegò la differenza di allenamento fra l’Italia e la Germania, dove era sato giocando nel Wolfsburg di Felix Magath, un allenatore col quale non andava d’accordo. «Magath ha stravolto completamente la mia mentalità. Ogni volta che mi lamentavo mi diceva: “Sai perché non ti alleni bene? Perché non credi in quello che fai”. Io in effetti in allenamento davo il 70, l’80 per cento e non prendevo mai la palla… Lì è cambiato il mio modo di allenarmi. Da allora do sempre il 100 per cento». Anche De Ligt ha notato (e sottolineato...) questa differenza. All’olandese piace parlare “dopo”, non “durante”, però uno spunto ce l’ha dato ed è meglio non trascurarlo.