Ci sono i re e ci sono i re senza corona. Sovrani che hanno accumulato regni e monarchi che tanto hanno fatto, ma ne sono stati sempre respinti. Il senso di colpa non è un’assoluzione. E l’obesità dei dati statistici - di alcuni, almeno - può non garantire il bacio della storia. Ron Clarke, australiano di Melbourne, demolì dal 1963 al 1968 qualcosa come 18 primati mondiali all’aperto, su distanze comprese fra le due miglia e l’ora di corsa, più 3 record indoor, salvo arrendersi alla maledizione olimpica: zero medaglie d’oro. Al massimo, il bronzo di Tokyo, sui 10.000, nel 1964. C’è poi lo stravagante rapporto fra Raymond Poulidor, nonno materno di Mathieu Van der Poel, e il Tour de France. “Poupou” vinse sette tappe e salì sul podio per ben otto volte, ma non indossò neppure per un giorno la maglia gialla. Ripeto: neppure per uno. Diventò, così, l’eterno secondo. Opposto, nei secoli, alla voracità apollinea di Jacques Anquetil. E, per questo, più vicino al cuore del popolo che non alla contabilità degli eletti.
Kane, dietro di sé nulla di definitivo
Nel calcio, Silvio Piola fu “costretto” ad aggiudicarsi il Mondiale del 1938 per riscattare la montagna dei 290 gol distribuiti fra Pro Vercelli, Lazio, Torino, Juventus e Novara. Bottino che, nel romanzo della serie A, gli ha assicurato - esclusivamente - lo scettro di cannoniere più prolifico. Ecco: Piola, che Gianni Brera raccontò «di piede rozzo» ma, come Gigi Riva, provvisto di «coraggio, potenza atletica, impeto generoso», tira la volata a Harry Kane. Centravanti inglese del Bayern, 30 anni, fermo all’argento europeo del 2021, quando i guanti di Gigio Donnarumma deviarono il destino verso l’Italia di Roberto Mancini.
Per assonanza, “Hurricane”: uragano. Un uragano, però, che a fronte della mira - miglior marcatore, in assoluto, del Tottenham e della Nazionale - non ha lasciato dietro di sé nulla di definitivo: non una Premier, non uno scalpo, niente di niente. E dal momento che l’archivio frigge, il suo avvento in Baviera, scortato dalla tradizionale carovana di gol (già 35 in Bundesliga), ha coinciso con il primo “scudetto” perso dopo undici consecutivi in bacheca. E non che in Supercoppa, o nella coppa domestica, i risultati lo abbiano risarcito: kaputt.
Kane, due occasioni
Kane è un nove moderno, attratto dalla porta e ligio a movenze che, nell’adescare gli avversari per liberare zolle, riecheggiano il dondolio di Roberto Bettega. L’agenda gli offre due formidabili “pretesti”: le semifinali di Champions, Bayern contro Real Madrid, stasera l’andata a Monaco; e la fase finale del rodeo continentale, dal 14 giugno al 14 luglio, in Germania. Nel suo caso, Godot non arriva mai. Gli sport di squadra porgono champagne, ma anche cicuta. Il rigore realizzato e il rigore sbagliato con la Francia, in Qatar, riassumono i picchi estremi delle sue campagne. Era il 10 dicembre 2022. C’è una frase dello scrittore britannico Julian Barnes, tratta da “Elizabeth Finch”, che gli calza a pennello: «Essere soli è una forza; sentirsi soli una debolezza». Kane ne è rimasto ostaggio. E “padre” tempo lo aspetta al varco. Curioso. Goloso. Geloso.