Lazio, 125 anni: una famiglia infinita

Un viaggio nel tempo che unisce identità e memoria: Bigiarelli e Piazza della Libertà, le rovesciate di Piola e il carisma di Chinaglia, la dolcezza di Tom e Sven, il romanticismo di Lenzini, il periodo  da fantascienza di Cragnotti e i sei trofei di Lotito
Lazio, 125 anni: una famiglia infinita© BARTOLETTI
Stefano Chioffi
6 min

La Lazio è una famiglia infinita. Unisce epoche e generazioni, identità e memoria, racconti e personaggi. Il primo degli antenati è Luigi Bigiarelli, cappello e divisa da sottufficiale dei bersaglieri: il fondatore. La Lazio è un’idea che nasce il 9 gennaio 1900 su una panchina di Piazza della Libertà, vicino ai capanni e alle rive del Tevere. Lo sguardo da pioniere di un centravanti chiamato Sante Ancherani e undici maglie cucite a mano dalla signora Amalia, a pochi metri dalla sede, al numero 15 di Vicolo degli Osti: l’indirizzo della casa di Bigiarelli.

Il passato è la somma del presente. Una cassaforte globale di ricordi. La faccia da bambino di Fulvio Bernardini, il debuttante più giovane: tredici anni e dieci mesi. Il rifiuto del generale Giorgio Vaccaro, contrario alla fusione con la Roma. Le domeniche allo stadio della Rondinella. Le rovesciate di Silvio Piola, le parate di Ezio Sclavi e Lucidio Sentimenti IV. La passione di Remo Zenobi, Andrea Ercoli e Costantino Tessarolo. Gli acquisti di Hansen e Selmosson, Muccinelli e Bettini. Lo stile di Bob Lovati, campione in porta e nella vita. Il gol di Maurilio Prini alla Fiorentina e la Coppa Italia del 1958. 

La Lazio è nella dolcezza e nella perfezione di Tommaso Maestrelli. È nei romantici giri di campo di Umberto Lenzini, con la sua busta di sale da spargere sulla pista di atletica dell’Olimpico. È nel carisma eterno di Giorgio Chinaglia, nelle geometrie di Frustalupi, nei tackle in scivolata di Wilson, nei dribbling e nei sorrisi di D’Amico, nei tuffi di Pulici, pronto a presentarsi in serie A parando un tiro all’incrocio dei pali dell’interista Bertini. La Lazio è in una bandiera con il ritratto di Re Cecconi, nella fedeltà di Oddi, nella modernità e nei lanci con il paracadute di Martini, nelle finte di Garlaschelli. È nelle intuizioni di Sbardella. È nelle messe di Padre Lisandrini, compagno di viaggio di una squadra capace di esprimere un calcio all’olandese e di vincere lo scudetto nel 1974. È nelle formidabili invenzioni di Bruno Giordano, cresciuto a Trastevere, a Vicolo del Cinque, e scoperto dal “Flaco” Flamini. 

 

 

 

La Lazio è nelle lacrime e nelle preghiere per Vincenzo Paparelli e Gabriele Sandri. È stata il sogno americano di Long John, disposto a vendere quattro appartamenti a New York per comprare João Batista dal Palmeiras. È un’aquila stilizzata. È la tuta e il golf nero di Eugenio Fascetti. È la squadra del -9, quella che i fratelli Calleri, Bocchi e il direttore sportivo Regalia avevano salvato a un passo dal tribunale fallimentare. Ha la serietà di Caso e Pin. Ha i capelli spettinati di Magnocavallo, Podavini e Acerbis. È il capolavoro di Fiorini contro il Vicenza. Si porta nei pensieri il cross di Piscedda e il colpo di testa di Poli nello spareggio con il Campobasso. È il riscatto e la risalita dopo gli scandali delle scommesse. 

La Lazio ha l’orgoglio da ultrà di Paolo Di Canio. È un coro per Ruben Sosa e Amarildo, uniti da due favolose partite vinte al Flaminio contro il Napoli di Maradona e l’Inter di Matthäus. È lo stacco imperioso di Riedle, che prendeva l’ascensore. È il sinistro magistrale di Beppe Signori. È la fantasia ribelle di Gascoigne. La Lazio è un monumento come Zoff, protagonista in panchina e dietro la scrivania. È un racconto riempito da due scudetti, sette Coppe Italia, cinque Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea. 

Gli anni da fantascienza con Cragnotti, i toni pacati e l’intelligenza di Eriksson, la felicità di Vieri e Nedved al Villa Park di Birmingham, Salas e la lezione al Manchester United di Ferguson a Montecarlo. La Lazio è nella fascia da capitano di Nesta, nel senso di appartenenza e nell’amore di Mihajlovic, nel numero 10 di Mancini, nei tocchi magici di Veron, nelle promesse mantenute da Simeone. È nell’eleganza di Governato e dell’avvocato Longo, del notaio Gilardoni e del commercialista Gian Casoni. 

È la Lazio delle salite e degli ostacoli. Delle paure e delle arrampicate. Una rinascita firmata da Lotito dopo l’onda di una grave crisi finanziaria. Da Rocchi alle capriole di Hernanes e Klose. La perla di Lulic nel derby di Coppa Italia. Le 427 partite di Radu: sul podio davanti a Favalli (401). Il cinema di Ciro Immobile, 207 gol da leggenda. Il trionfo nella notte di Riyad con Milinkovic e Luis Alberto. Il 3-5-2 e gli abbracci con Inzaghi. La Lazio è un viaggio: 2.815 partite in serie A e 34 presidenti, dal cavalier Giuseppe Pedercini a Claudio Lotito. Settantatré allenatori, da Bruto Seghettini a Marco Baroni. Campioni, gregari, eroi per un giorno. Un alfabeto di giocatori che è un oceano di nomi. Dalla A di Abbondanza, uno dei primi acquisti di Maestrelli nel 1971, alla Z di Zucchini, un mediano portato a Roma dal direttore sportivo Janich nel 1979. Una Lazio che contiene milioni di avventure. Da celebrare ogni 9 gennaio con i fuochi d’artificio, come hanno fatto anche ieri sera i tifosi in Piazza della Libertà. 

 


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