Juve, il crollo del castello di sabbia

Leggi il commento della sfida di Supercoppa a Riyad tra la squadra di Conceiçao e quella di Thiago Motta
Juve, il crollo del castello di sabbia© Getty Images
Massimiliano Gallo
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Da un lato gli occhi della tigre, lo sguardo feroce e determinato di Sergio Conceiçao e del suo Milan che gioca un secondo tempo da squadra che non vuole saperne di perdere. Dall’altro la solita maschera indecifrabile di Thiago Motta che sembra sempre stia guardando chissà dove, e gli occhi smarriti degli juventini che, tra campo e panchina, appaiono in trance come spesso accade. Tra una squadra e un non so, a calcio vince sempre una squadra. Anche se rabberciata e in ricostruzione.

È successo anche ieri sera a Riyad. Ha vinto il Milan, in rimonta. Perdeva 1-0 fino al minuto 71. Anzi, è più corretto dire fino al minuto 65. Quando Thiago ha sfoderato gli ennesimi cambi inspiegabili della sua gestione: Nico Gonzalez per Vlahovic (che sì, si era divorato un gol, ma dava comunque un riferimento offensivo alla squadra) e Cambiaso per Mbangula fin lì il migliore dopo Yildiz. Il turco, va ricordato, ha giocato solo perché nel riscaldamento si è infortunato Conceiçao figlio. Ha segnato un gran gol ed è stato il migliore per distacco.

Con le sostituzioni è cambiato tutto. La Juventus non ne ha più imbroccata una. Si è fatta infilare due volte a difesa tanto schierata quanto alta. Prima, un rigore di Pulisic (provocato da un fallo da polli di Locatelli) con l’azione nata da lancio lungo di Maignan; poi un’autorete di Gatti ma Di Gregorio era abbondantemente fuori dalla porta. Alla Jongbloed per quelli che ricordano l’Olanda degli anni Settanta. Che Cruyff ci perdoni per questo accostamento: di spettacolare ieri sera non c’è stato proprio niente.

A Conceiçao sono bastati pochi giorni per trasferire ai suoi almeno il carattere. Si è seduto sul frigo bar, alla Bielsa. Il suo Milan certo non ha brillato. Ma nessuno gli chiedeva questo. In compenso, però, non si è mai arreso. È rimasto sempre aggrappato alla partita. Ha continuato a far sentire il fiato sul collo dei bianconeri che sono distanti anni luce dalla squadra di canaglie che fu. I rossoneri hanno cominciato bene entrambi i tempi. Hanno provato a pressare alto. Poi, com’era normale che fosse, si sono disuniti. Il calcio è semplice, ha detto il tecnico il giorno della presentazione: bisogna non prendere gol e segnare nella porta avversaria. Ma Theo Hernandez era in bagno quando il portoghese ha spiegato la prima parte e si è fatto fregare come ai tornei scolastici sul taglio per Yildiz sul primo gol. Il Milan ha saputo soffrire e non ha mai mollato. E ha vinto. Non ha rubato niente. Conceiçao può ripartire da una certezza: ha una squadra che lo segue.

A Thiago Motta, invece, fin qui non sono bastati sei mesi per avere la stessa certezza. Alla vigilia ha inquietato il mondo Juve con la frase: «Voglio vincere ma non è un’ossessione». E si vede, avrà commentato da lassù Giampiero Boniperti ormai lontano anni luce da questa Juventus che è in crisi non solo di identità ma di Dna. Non si sa più cosa sia la Juve. Ha volutamente smarrito la forza della sua storia. Ha intrapreso un percorso che in teoria vorrebbe essere rivoluzionario ma i rischi sono altissimi. Ieri sera si è fatta rimontare per l’ennesima volta. Era successo col Cagliari, col Lecce, col Venezia (prima di finire 2-2), con la Fiorentina due volte e volendo una volta anche con l’Inter. Il Giuntoli inquadrato nel finale di partita è decisamente diverso da quello impettito e perennemente sorridente che abbiamo osservato per mesi. C’è ben poco da ridere e ci sembra che se ne sia accorto anche lui.

PS. Ci risulta che dopo lo spettacolo di ieri sera gli arabi non vogliano più pagare i diritti per la Supercoppa italiana. Siamo onesti, basta parlare di spettacolo. Facciamo gli italiani, ci viene decisamente meglio.


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