Uefa e Fifa, scoppia la battaglia politica per il controllo del calcio

Calciatori, società, agenti: dalle sentenze europee ai calendari, il sistema trema. E la Superlega trama
Giorgio Marota

Se non fosse potente come uno Stato e se non gestisse una quantità abnorme di soldi, si potrebbe quasi affermare che la Fifa oggi sia in crisi. Di fatto, anche se con sfumature legislative differenti, la struttura che gestisce il calcio su scala planetaria è in causa con tutte le sue componenti: gli agenti contestano in vari tribunali il nuovo regolamento che pone un tetto alle commissioni e un limite ai mandati, mentre i calciatori e le maggiori leghe due giorni fa hanno portato sul tavolo della Commissione Europea a Bruxelles un reclamo contro il calendario delle partite che considerano dannoso per la salute degli atleti e devastante nelle ripercussioni economiche per i campionati locali. Anche qualche federazione ha preso le distanze dalla politica di Infantino. Eppure, negli anni, al presidente non è stato soltanto consentito di modificare lo statuto per darsi la possibilità di correre per un quarto mandato: all’ultima votazione non si è presentato neppure un candidato alternativo, tanto che l’italo-svizzero è stato eletto per acclamazione. Nonostante le critiche e le sentenze (per ultima quella del caso Diarra, destinata a stravolgere le regole sui trasferimenti), il presidente è saldamente al comando e potrebbe anche pensare che la guerra politica in corso sia dovuta alla semplice necessità di conquistare significative zone di influenza da parte dei vari attori in gioco: gli agenti vogliono avere più potere decisionale, i calciatori giocare meno mantenedo però lo stesso status economico e i club ottenere più soldi dalla ripartizione delle risorse.

Il confine della Uefa

Il mondo del calcio ha dunque attaccato la Fifa perché si gioca troppo. All’Uefa, la prima responsabile della saturazione del calendario, ha riservato vicersa un trattamento soft. La nascita della Nations, gli Europei passati da 16 a 24 squadre ma soprattutto il nuovo formato delle coppe che vede lievitare il numero dei match da 471 a 567, dimostrano come la Fifa e il suo contestatissimo Mondiale per Club abbiano contribuito al “traffico” in modo decisamente più marginale; nel caso delle italiane, sono coinvolte ad esempio solo Inter e Juve. La rassegna che comincerà il 15 giugno 2025 crea, in generale, non pochi problemi organizzativi come la mancanza di chiarezza sui premi e sulle emittenti che la trasmetteranno, oltre alle note problematiche legate ai contratti in scadenza il 30 giugno; ma fin qui soltanto i fautori della Superlega hanno avanzato un’azione nei confronti dell’Uefa, ottenendo la pronuncia della Corte Ue che ha stabilito «l’abuso di posizione dominante» dei grandi organizzatori del gioco. A qualcuno è venuto il sospetto che sia solo una questione di denaro: le nuove Champions, Europa League e Conference portano infatti i ricavi da 3,5 a 4,4 miliardi; al tempo stesso, l’idea di una fase campionato che anticipa l’eliminazione diretta appare un tentativo per strizzare l’occhio agli ex ribelli della Superlega. 


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Le strategie

Sempre più spesso, comunque, le società simili ormai a delle multinazionali riflettono sull’opportunità di fare da sole e di spartirsi anche quei 230 milioni l’anno trattenuti dall’Uefa per il funzionamento della macchina organizzativa. Formalmente, l’Uefa gode di ampio sostegno: giusto pochi giorni fa l’associazione dei club europei ha rinnovato fino al 2033 un memorandum d’intesa con Nyon. L’Eca non è un sindacato, ma c’è chi sostiene come il suo compito sia quello di portare le istanze degli affiliati al tavolo di Ceferin piuttosto che stringere alleanze con il presidente. Nel frattempo, i componenti della A22, la società che promuove la Superlega, continuano a incontrare e ascoltare anche chi all’esterno professa fedeltà all’Uefa. «La sentenza della Corte Ue ha aumentato significativamente la disponibilità al dialogo dei club e ha ridotto il timore di ritorsioni», ha spiegato al riguardo Reichart, Ceo di A22, in un’intervista a Kicker. 


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Se non fosse potente come uno Stato e se non gestisse una quantità abnorme di soldi, si potrebbe quasi affermare che la Fifa oggi sia in crisi. Di fatto, anche se con sfumature legislative differenti, la struttura che gestisce il calcio su scala planetaria è in causa con tutte le sue componenti: gli agenti contestano in vari tribunali il nuovo regolamento che pone un tetto alle commissioni e un limite ai mandati, mentre i calciatori e le maggiori leghe due giorni fa hanno portato sul tavolo della Commissione Europea a Bruxelles un reclamo contro il calendario delle partite che considerano dannoso per la salute degli atleti e devastante nelle ripercussioni economiche per i campionati locali. Anche qualche federazione ha preso le distanze dalla politica di Infantino. Eppure, negli anni, al presidente non è stato soltanto consentito di modificare lo statuto per darsi la possibilità di correre per un quarto mandato: all’ultima votazione non si è presentato neppure un candidato alternativo, tanto che l’italo-svizzero è stato eletto per acclamazione. Nonostante le critiche e le sentenze (per ultima quella del caso Diarra, destinata a stravolgere le regole sui trasferimenti), il presidente è saldamente al comando e potrebbe anche pensare che la guerra politica in corso sia dovuta alla semplice necessità di conquistare significative zone di influenza da parte dei vari attori in gioco: gli agenti vogliono avere più potere decisionale, i calciatori giocare meno mantenedo però lo stesso status economico e i club ottenere più soldi dalla ripartizione delle risorse.

Il confine della Uefa

Il mondo del calcio ha dunque attaccato la Fifa perché si gioca troppo. All’Uefa, la prima responsabile della saturazione del calendario, ha riservato vicersa un trattamento soft. La nascita della Nations, gli Europei passati da 16 a 24 squadre ma soprattutto il nuovo formato delle coppe che vede lievitare il numero dei match da 471 a 567, dimostrano come la Fifa e il suo contestatissimo Mondiale per Club abbiano contribuito al “traffico” in modo decisamente più marginale; nel caso delle italiane, sono coinvolte ad esempio solo Inter e Juve. La rassegna che comincerà il 15 giugno 2025 crea, in generale, non pochi problemi organizzativi come la mancanza di chiarezza sui premi e sulle emittenti che la trasmetteranno, oltre alle note problematiche legate ai contratti in scadenza il 30 giugno; ma fin qui soltanto i fautori della Superlega hanno avanzato un’azione nei confronti dell’Uefa, ottenendo la pronuncia della Corte Ue che ha stabilito «l’abuso di posizione dominante» dei grandi organizzatori del gioco. A qualcuno è venuto il sospetto che sia solo una questione di denaro: le nuove Champions, Europa League e Conference portano infatti i ricavi da 3,5 a 4,4 miliardi; al tempo stesso, l’idea di una fase campionato che anticipa l’eliminazione diretta appare un tentativo per strizzare l’occhio agli ex ribelli della Superlega. 


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