I segnali sono chiari: nel calcio troppe gare

Leggi il commento sulla situazione legata agli infortuni
I segnali sono chiari: nel calcio troppe gare© EPA
Massimiliano Gallo
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Lavorare meno, lavorare tutti. È un Luciano Spalletti in versione anni Settanta quello ascoltato ieri nella conferenza stampa per il raduno della Nazionale. Esibisce concetti che richiamano il noto slogan gridato alle manifestazioni del tempo che fu. E, soprattutto, si attiene al proprio ruolo. Perché oggi Luciano di lavoro fa il commissario tecnico della Nazionale. E sarebbe stato singolare se alla vigilia di due partite non proprio fondamentali, come quelle di Nations League contro Belgio e Israele, si fosse schierato contro il calendario della Fifa. Sa fin troppo bene che sotto accusa non ci sono soltanto le nuove coppe europee in versione inutilmente extra-large, ma ci sono anche le Nazionali soprattutto quando si gioca un torneo che non scalda gli animi. 

Spalletti dice che ci sono squadre che hanno 25 calciatori in rosa e che bisogna far giocare chi c'è dietro, i giovani. Sarebbe fin troppo semplice ricordare che quando allenava i club, non faceva discorsi simili. È vero che anche a Napoli si batteva contro la differenziazione tra titolari e riserve. Ma era una battaglia dialettica, linguistica. Dai risvolti psicologici: occorreva caricare chi giocava meno, far sentire coinvolto tutto il gruppo. E in questo Spalletti è maestro. I fatti, però restano fatti. E naturalmente in Serie A, tanto per fare un esempio, nell’anno dello scudetto Osimhen ha giocato poco meno di 2.600 minuti mentre Simeone, l’altro centravanti, 386. Potremmo continuare con le differenze tra Lobotka, Anguissa e Ndombélé. O Gaetano, se vogliamo rimanere ai giovani. Ma sarebbe un inutile esercizio di stile.

Giocano i più forti, com’è ovvio che sia. Com’è sempre stato. E i più forti sono quelli che si usurano di più. Perché giocano di più nei club, e giocano di più in Nazionale. Carvajal, che ha subito la tripla rottura del ginocchio, agli Europei è sempre stato impiegato tranne la partita in cui era squalificato. Lo stesso vale per Rodri che ha disputato mezza finale solo perché si è infortunato a fine primo tempo. Non capiamo che cosa intenda Spalletti quando parla di alibi. Sì, i grandi club hanno rose attrezzate con 25 calciatori ma anche nei grandi club ci sono gerarchie. Una cosa è giocare con Haaland e un’altra senza. Il quale Haaland, peraltro, si è presentato più riposato perché la sua Norvegia non ha giocato gli Europei.

Al di là di presunti alibi, il bollettino degli infortuni continua ad aggiornarsi con una velocità inquietante. Ci sembra questo il dato su cui vale la pena soffermarsi. Solo nell’ultima settimana si sono aggiunti Zapata, Bremer e appunto Carvajal. Anche la natura degli infortuni ha cominciato a cambiare. Spesso non si tratta più di “semplici” rotture dei legamenti. Leggiamo di diagnosi complesse. Anche le previsioni dei tempi di recupero si stanno allungando. Il tema è serio e andrebbe affrontato provando a sganciarsi dai propri ruoli. Anche se comprendiamo che non è semplice.

La conclusione è che il calcio ci sembra distante da una presa di coscienza. Siamo ancora al tutti contro tutti. Alla difesa dei propri ruoli e delle proprie posizioni. Ovviamente non vale solo per Spalletti. Rimaniamo lontani da qualsiasi ipotesi di riforma e i calciatori possono solo sperare che la prossima volta non tocchi a loro uscire in barella.


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