Calendari e infortuni, il punto di rottura

Leggi il commento sull'eccessivo numero di partite e i limiti raggiunti dal sistema del calcio
Calendari e infortuni, il punto di rottura© PA Images via Getty Images
Massimiliano Gallo
4 min

La parola d'ordine è strizzare. Fino all'ultima goccia. Fino al punto di rottura. Economico. Fisico. Sentimentale. Il calcio ha deciso di tirare dritto. Il pallone è un business, ormai è chiaro a tutti. È un'industria, come amano ripetere i presidenti di club. E un'industria ha come obiettivo l'aumento continuo del fatturato. E quindi del profitto. Infantino lo ha chiaro da tempo altrimenti non avrebbe proposto di giocare i Mondiali ogni due anni. Poi ha fatto marcia indietro ma siamo certi che l'idea sia rimasta nell'aria. Per raggiungere lo scopo (l'aumento del profitto) bisogna strizzare. Giocare sempre di più. Perché più partite equivalgono a più diritti tv. Quindi più sponsor. Lo spettacolo va moltiplicato. Nella speranza che non si raggiunga il livello di saturazione.

I primi a saltare sono i fisici dei calciatori. Non reggono. Un tendine rotuleo di qua (Ter Stegen), un legamento crociato di là (Rodri), una distrazione al retto femorale in Italia (Barella). Il sistema è arrivato al limite. Perché oltre un certo limite il corpo non ce la fa. Anche se è il corpo di un atleta. I muscoli non si nutrono di soldi. Qui però va fatta una doverosa precisazione. In questa vicenda non ci sono buoni e cattivi. Non ci sono oppressi e oppressori. Ci vuole una robusta dose di ingenuità per mascherare i calciatori da sfruttati. Sono lavoratori dipendenti molto sui generis. È condivisibile il loro grido di dolore. Fa invece sorridere l'idea dello sciopero da parte di chi ha stipendi da quattro, cinque milioni di euro netti all'anno. Come se il calcio fosse un bene di prima necessità.

Il punto è che i calciatori sono una componente importante dell'ingranaggio che hanno contribuito a metter e in piedi. Con i loro procuratori. Con gli intermediari. È il sistema del libero mercato che spinge a chiedere sempre di più, anche perché dall'altra parte c'è chi quegli stipendi è disposto a pagarli. È lo stesso meccanismo che induce i presidenti a chiedere sempre più partite. In parte per coprire quegli stipendi e in parte per aumentare il loro profitto. E allora i tornei che già esistevano, vengono allungati e annacquati. Come la Champions che ha varato una nuova formula che di certo non rende la manifestazione più accattivante: si gioca solo di più e le partite contano decisamente di meno. Altri tornei vengono addirittura creati. Come il nuovo Mondiale per club organizzato dalla Fifa che si dovrebbe svolgere la prossima estate. E qui non possiamo non notare che il punto di rottura è anche economico se è ver o che il primo bando per i diritti tv del Mondiale per club è andato deserto. Segno che la saturazione si avvicina. Il sistema non regge.

E non regge anche perché le parti in causa sono tante e ciascuna tira dalla propria parte. I calciatori da un lato, i presidenti di club da un altro, Uefa e Fifa (in realtà molto distanti tra loro) da un altro ancora. L'impressione è che nessuno abbia realmente la volontà di sedersi al tavolo e trattare. Diciamo per un calcio più sostenibile. Siamo ancora alla fase del si salvi chi può. Alla fase in cui ciascuno cerca di chiudere l'affare della vita. Che sia un mega-contratto o l'organizzazione di un nuovo torneo. Vuol dire che i legamenti continueranno a saltare. Che le società di calcio saranno sempre più in mano a organizzazioni impersonali, i cosiddetti fondi. E che anche Fifa e Uefa dovranno fare prima o poi fare i conti con il disamoramento e quindi la fuga delle tv. Non stiamo chiedendo il ritorno alla radiolina, stiamo solo invitando le parti a fermarsi a riflettere. Altrimenti il sistema potrebbe saltare e nessuna delle parti ci guadagnerebbe.


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