C’è un Chiesa che cerca il centro del villaggio

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Roberto Beccantini
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Bocciato dalla Juventus, fuori dal listone di Luciano Spalletti, eppure a Liverpool, del Liverpool. C’è sempre un villaggio al centro del quale si spera di poter piazzare «la» Chiesa cara alla metafora romanista di Rudi Garcia. «Church in the center of the village». Federico va per i 27 (li compirà il 25 ottobre): l’età di Michel Platini quando si presentò a Torino e sbatté contro la dottrina vernacolare del Trap. Ne scaturirono divertenti e fecondi siparietti. Il Liverpool è la squadra più europea dell’isola, come testimoniano le sei Coppe dei Campioni/Champions League in archivio: la prima nel 1977, l’ultima nel 2019.
Non è facile, per noi italiani, emergere in Premier. Vi riuscirono, al Chelsea, Gianluca Vialli, Gianfranco Zola, Carlo Cudicini, figlio di Fabio, il Ragno nero, e Roberto Di Matteo (persino da allenatore: la Champions del 2012, ai rigori sul Bayern); a ruota, Paolo Di Canio allo Sheffield Wednesday e al West Ham, tra spinte agli arbitri e premi fair play. In parte, Mario Balotelli: protagonista del titolo di Roberto Mancini al Manchester City; comparsa ai Reds. E quella canotta, «Why always me?», perché sempre io?, che sapeva di baruffe, di provocazioni.
A naso, il miglior Chiesa sarebbe stato perfetto per il Liverpool di Jurgen Klopp, fondato sul tridente che coinvolgeva Mohamed Salah a destra, Roberto Firmino al centro e Sadio Mané a sinistra. Ma dov’è finito il miglior Chiesa? I lampi azzurri dell’Europeo 2021, gli scrosci juventini tra le nuvole di Andrea Pirlo e Massimiliano Allegri. L’infortunio del 9 gennaio 2022 all’Olimpico, con la Roma, ginocchio sinistro kaputt, ne ha scorticato la carriera. Il Feticista labronico aveva cercato di allargargliela, offrendogli il ruolo di «libero d’attacco», con e per Dusan Vlahovic. In chiave tattica: «orizzontale», non solo «verticale». Ha chiuso con la Coppa Italia del 15 maggio, a metà della missione.
«In un viale senza uscita, l’unica uscita è nel viale stesso», diceva papa Karol Wojtyla. E allora, sotto. Al diavolo gli alibi: ci dica, da «grande», cosa intende fare «di» grande. In tribuna a Old Trafford, domenica, riserva ad Anfield: Salah non molla di una zolla, e Luis Diaz ricorda i cowboy che, alla conquista del West, non si lasciavano intimidire dai banditi e avanzavano, avanzavano. Però Arne Slot, il mister olandese, lo ha voluto. Subito, a pagamento, nonostante il contratto in scadenza a giugno 2025. Non mi pare un dettaglio banale.
Le medie realizzative sono modeste: 0,18 a Firenze (26 gol in 137 partite di campionato); 0,21 alla Juventus (21 reti in 98 gare); 0,13 in Nazionale (7 in 51). Gli erano stati suggeriti i sentieri di papà Enrico, dalle fasce all’area, ma il progetto si è impantanato, e dare esclusivamente la colpa ad Allegri è da tristi. Le accelerate e i dribbling sono stoffa pregiata per i sarti di Liverpool. Chiesa è al bivio. E perché «You’ll never walk alone» abbia un senso - e, soprattutto, glielo indichi - dovrà aiutarsi con le proprie risorse, che sono molte, a ridurre i propri limiti, che non sono pochi.


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