Carraro: “Dico basta ai personalismi”

La spinta autonomista di Lega e Governo prima dell’assemblea elettorale: un’estate di svolta per il calcio italiano
Carraro: “Dico basta ai personalismi”© ANSA
Fabrizio Patania
9 min

Si gioca una partita delicatissima tra Figc e Lega di Serie A. Franco Carraro, un’autorità quanto a esperienze dirigenziali nello sport e nel calcio, cosa ne pensa?
«Partirei da una premessa. Il calcio ha una struttura piramidale e il motivo per cui è così popolare è semplice. Tutti da bambini abbiamo giocato e ancora oggi i più piccoli, se vedono un pezzo di carta per la strada, provano a dargli un calcio. La formula non è mai cambiata. Comandano in due, chi porta il pallone e il più bravo. I due meno bravi vanno in porta. Dalla terza categoria a salire quasi tutti i tifosi, oltre alla squadra della propria città, ne seguono un’altra. Il tifo va verso chi vince o ha una visibilità superiore. Non a caso la Juve ha il maggior numero di sostenitori, diciamo il 30% in Italia, e raggiunge il restante 60-70% di antipatie. Perdonate la premessa, forse noiosa. Cosa voglio dire? I dirigenti non devono mai perdere una visione d’insieme del calcio. La grande base è il mondo dilettantistico, la Serie A è il vertice della piramide. Non può esserci vertice senza base e viceversa. Spero che la discussione sia affrontata con questo spirito».

L’emendamento Mulé, approvato alla Camera e atteso dal via libera del Senato, ha provocato una frattura all’interno del calcio italiano.
«La decisione al 99% diventerà legge dello stato e una legge va applicata, non si può ignorare. Mercoledì ho ascoltato il dibattito su Radio Radicale. La proposta è stata approvata dalla maggioranza con la ferma resistenza dell’opposizione. Non cambia niente. L’interesse del calcio è trovare formule convincenti e non solo perché lo dice la legge. Secondo il mio punto di vista, questa diventa un’occasione per obbligare il Consiglio Federale, in tutte le sue componenti, a farsi carico di una soluzione che da una parte rispetti la norma, lo spirito della legge e dall’altra gli interessi. Va trovato un assetto affinché, attraverso una comunione d’intenti, il calcio italiano cominci a risolvere i problemi, a potenziare i vivai, a darsi una spiegazione di certi insuccessi. Se esiste un problema, non è mai colpa di uno o dell’altro. Va capito cosa non funziona, perché si ferma il processo di crescita dei nostri talenti se le giovanili azzurre ottengono risultati. Facciamoci carico di tutte queste problematiche. Darei un suggerimento. C’è un mese di tempo. Se ci si mette con la testa libera, un’intesa si trova».

La Serie A genera soldi e reclama un peso superiore all’attuale 12% all’interno della Figc. Mulé ha indicato il 23% come possibile approdo. Crede sia una percentuale corretta?
«Non sono in grado di giudicarlo. Mulé possiede un’esperienza professionale importante. Mi ha fatto molto piacere che abbia ricordato quanto produce il movimento professionistico e quante tasse vengano pagate. Il calcio e lo sport in generale producono molto a beneficio del Fisco italiano. Al vicepresidente della Camera, senza entrare in polemica, mi permetto di rivolgere un invito. Si ricordi sempre di queste parole quando vengono assunti certi provvedimenti. Ci sono settori del nostro Paese che, contribuendo in misura inferiore, godono di aiuti superiori. Il calcio e lo sport ricevono molto meno. Ricordiamocelo. Il Parlamento lo tenga sempre presente. Dai dilettanti alla Serie A, vanno rispettati tutti gli imprenditori che investono nel calcio. È positivo che nel nostro massimo campionato ci siano anche soggetti o fondi stranieri. Vuol dire che l’Italia esercita un appeal e bisogna saper rispondere a questa fiducia. Non mi ancorerei al 23%, non so se può essere più giusto il 24% o il 18%. Dico: andiamo a riequilibrare gli aiuti. Una verità dobbiamo dircela. La Serie A, quando si tratta di fare una “polemica” verso l’esterno, si compatta con facilità, ma dopo un minuto lo dimentica e si mette a litigare per come dividere i fondi o sugli arbitraggi. Sono diventato consigliere del Milan nel 1964, esattamente sessant’anni fa. Qualcosa capisco. Se la Serie A ci pensa bene, si compatta e ha una posizione precisa nel dettaglio ottiene quello che desidera nel Consiglio Federale. Da presidente della Figc, non posso dimenticarlo, tra il 2003 e il 2005 abbiamo dovuto prendere, a seguito delle posizioni della Covisoc, decisioni delicatissime. La Fiorentina, il Catania, il Napoli, il Bologna. Ricevevamo ogni volta diffide da avvocati e giuristi. Le soluzioni erano suggerite dagli organi preposti e il Cf, sapendo di correre dei rischi, le ha sempre adottate. Allora la Lega era compatta. Adriano Galliani è un mio grande amico, ha grande esperienza e non perde mai lucidità anche se il giorno prima il Monza ha perso. È anche in Senato. Possiede moderazione, sa esattamente che va trovato un punto di equilibrio. Lo può spiegare alla Serie A, alla politica, allo stesso Gravina. Mancano quaranta giorni. Non è impossibile, con buona volontà e serenità, trovare soluzioni ragionevoli magari analizzando anche ciò che avviene in Francia, Germania, Inghilterra e Spagna».

Gravina ha aperto il tavolo. La Lega, invece, è oltranzista. Punta verso l’autonomia e lo Statuto federale, l’appuntamento elettorale di novembre rischia di saltare. L’incontro con Casini non ha prodotto segnali di intesa.
«Se ci si mette con la testa, con l’aiuto dei consulenti giuridici e ci si libera dai personalismi, un mese penso possa bastare per un accordo, altrimenti non lo si trova neanche in sei. Non c’è una ragione tecnica per la quale non si possa individuare una soluzione. Ho letto della disponibilità del Ministro Abodi. Conosce lo sport molto bene, è stato dirigente del calcio, ha tutte la possibilità di dare una mano. Solo una malattia senza cura è irrimediabile. Questa roba non mi pare così complicata da risolvere, si tratta di averne la volontà, rispettando tutti».

Come si ritrova l’equilibrio?
«La piramide federale alla base è larga, ma la cima è molto piccola. Se manca l’equilibrio giusto, rischia di cadere. E poi non c’è contrapposizione tra Nazionale e Club. Qualsiasi sia il format di un campionato, le finestre Fifa durante la stagione sono cinque, sempre le stesse. Devono essere gli esperti di marketing a indicare se il campionato può esercitare un appeal superiore a 20 squadre oppure a 18. E se ti dicono che è meglio con due squadre in meno, si compensa aumentando la mutualità. In una famiglia una torta va divisa con logica e equilibrio. Se ti accapigli, la torta finisce a terra e se la mangiano i topi...».

L’Italia di Valcareggi, al Mondiale in Germania nel 1974, chiuse il suo ciclo e il calcio italiano venne riformato.
«Dopo quel falimento arrivò il grande Fulvio Bernardini e mandò tutti a casa. Era una persona straordinaria, capì e disse: “Ripartiamo da zero”. Nel 1976 diventai presidente al posto di Artemio Franchi. Un anno dopo Bernardini, l’unico con cui mi davo del tu, mi suggerì di promuovere Bearzot: “Guarda Franco, il mio ciclo è finito, ho rinnovato, ora devo andar via. Metti Enzo, vuole diventare ct. Secondo me è contento se vado via, ma farà benissimo, è bravo e all’altezza. Dammi retta”. Aveva ragione. Nella mia attività federale ho avuto la fortuna di nominare sia Bearzot che Lippi, poi diventati campioni del mondo. Nel 2004, dopo l’eliminazione all’Europeo in Portogallo, parlai con Galliani, all’epoca consigliere federale. Capimmo di dover puntare su Lippi, che si era appena dimesso dalla Juve».

Nel 2024 è ancora corretto che i risultati della Nazionale condizionino l’attività federale?
«Il mondo è cambiato. Nel 1970 perdemmo il Mondiale con il Brasile. Non sono un tecnico, ma di partite ne ho viste tante. Con quel Brasile, se avessimo giocato 10 volte, l’Italia ne avrebbe perse 7 e vinte 3 in condizioni normali. Invece ci trovavamo a Città del Messico. A duemila metri di altezza ne avremmo perse dieci su dieci: impossibile correre in contropiede e venivamo dalla fatica di un’epica semifinale con la Germania. Franchi, Mandelli e Valcareggi vennero insultati per mesi. Adesso gli azzurri son o rientrati dalla Germania e la gente li ha ignorati. Dico meglio così. Meglio essere offesi sui social. Negli Anni Settanta sparavano per la strada... Penso una cosa. Gli automatismi sono sempre stupidi. Ogni situazione dipende dalle circostanze».

Per l’Europeo in Germania si è parlato di vergogna e di disastro. Pensa sia stato esagerato?
«Gianni Brera diceva che il calcio è un mistero agonistico. L’Europeo del 2021 era stato un crescendo, si era creata un’alchimia positiva, gli azzurri si esaltarono. Questa volta no, tanto bene era andata a Wembley, tanto male è andata in Germania. Direi all’opposto. I nostri sembravano imbambolati. Perché sia successo non lo so. Mi approprio del mistero agonistico evocato da Brera, ma ho stima profonda e ritengo Spalletti un grandissimo professionista. Nell’agosto 2023, quando Mancini decise di andarsene, se fosse stato fatto un sondaggio, la stragrande maggioranza avrebbe votato per Spalletti commissario tecnico e anche io mi sarei schierato con il 99% dei tifosi italiani».


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