Rinunciando a giocare l’ottavo di un Master 1000 per protesta nei confronti degli organizzatori, Jannik Sinner ha dato una severa lezione anche al mondo del calcio. Che di solito si ferma alla critica plateale prima di arrendersi puntualmente a orari intollerabili, calendari impossibili, istituzioni vendute e fameliche. A Bercy il nostro miglior tennista aveva chiuso il sedicesimo alle 2 e 37 del mattino e non ha accettato di tornare in campo contro de Minaur alle 17 dello stesso giorno. Per inciso l’australiano aveva risolto la pratica del turno martedì. Come ha scritto Paolo Rossi su Repubblica, a ventidue anni Sinner è sulle orme di Valentino Rossi in termini di popolarità e guadagni (oggi vale una ventina di milioni) ed è quindi condannato a non fermarsi mai e alla prestazione assoluta. Eppure ha avuto il buonsenso e il coraggio di ritirarsi, una mossa che gli organizzatori di Parigi e l’intero sistema non hanno gradito, una decisione realmente eccezionale, apprezzata e sostenuta da campioni d’altri tempi come Paolo Bertolucci e Adriano Panatta. Dove voglio arrivare? Al fatto che i nostri calciatori, ancor prima degli allenatori, per i soldi mandano giù tutto. Insieme a tecnici, medici sportivi e preparatori, ripetono in continuazione che si gioca troppo a scapito tanto della loro salute quanto dello spettacolo. E poi cedono. Per Fifa e Uefa è acqua fresca. Non a caso - è solo un esempio - Pierluigi Collina, guru degli arbitri mondiali, ha suggerito ai colleghi in servizio recuperi più lunghi, anche oltre i dieci minuti a partita, aggiunte che alla fine di una stagione pesano quanto sei, sette gare in più. Ogni tanto ad alzare la voce provvedono i vari Mourinho e Sarri: ma le loro denunce vengono fatte passare per ricerca di alibi e metabolizzate nel giro di ventiquattr’ore, salvo deferimento. La verità è che abbiamo finito i buoni, i campioni capaci di dire di no: ero ragazzo quando Rivera e Bulgarelli combattevano battaglie per il bene del pallone. Oggi il calcio è in mano ai cattivi, a chi vende il Mondiale agli arabi; arabi che si stanno comprando tutto, anche le coscienze. Non escludo che nel giro di poco tempo possano prendersi il sindacato internazionale dei calciatori, da anni asservito al potere. Perfino i buoni, o presunti tali, come Gabriele Gravina, non riescono più a contrastare l’arroganza dei cattivi i quali, per azzerare l’opposizione, la disarmano o inglobano. Ogni tanto, lo confesso, mi prende la nostalgia della rivolta di Kyalami ’82, quando i piloti di F.1, molti dei quali miliardari, decisero di non correre il gran premio del Sudafrica. Il pomo della discordia era l’articolo 58 del regolamento, a cui era obbligatorio sottostare per ottenere la superlicenza. Per i più giovani, ricordo che il testo recitava: “La mia partecipazione avverrà a mio rischio e pericolo e non citerò, né io né i miei eredi o aventi diritto, alcuna persona o ente coinvolto direttamente o meno con l’avvenimento per quanto riguarda qualsiasi perdita o danno alla mia persona o proprietà in caso di incidente avvenuto mentre partecipo alla gara”. A ciò si aggiungeva un altro capitolo che vietava ai piloti di liberarsi da un contratto in essere con una scuderia fino al termine dello stesso, anche pagando una penale. Nella più totale buonafede, alcuni avevano già firmato, prima che Lauda e Pironi, allora rappresentanti della GPDA, l’assopiloti, evidenziassero tali punti. L’occupazione del Sunnyside Hotel da parte di Lauda, Piquet, Patrese e compagnia fu un momento indimenticabile - in quei giorni lavoravo a Autosprint. «Il sole splende per tutti, buoni e cattivi - questa è di Pino Caruso -. Bella ingiustizia! Sui cattivi, almeno, dovrebbe piovere». In Arabia manco una goccia.