Esiste ancora una distanza siderale tra i club della Premier e tutto il resto dell’industria calcistica. Le Big Six inglesi (City, United, Liverpool, Chelsea, Tottenham, Arsenal) sono tutte nei primi dieci posti delle classifiche del valore dei club mondiali. Sia quella recentemente stilata da Football Benchamark che l’annuale Money League di Deloitte, pubblicata qualche mese fa. La notizia (non troppo fresca né sorprendente) è che le italiane restano in seconda fila, tra la decima e la ventesima posizione: dodicesima la Juve, che era nella top 10 qualche anno fa, poi le milanesi con l’Inter che precede di poco il Milan (14ª e 15ª) mentre il Napoli sale al 17° posto. Nella terza decina Atalanta (22), Roma (25) poi la Lazio al 31simo posto. Cosa dicono queste classifiche? Che una frattura separa le prime sette, il cui valore è stimato sui 3-4 miliardi di euro, da tutto il gruppo che segue (oltre alle inglesi troviamo Real, Bayern, Barça, Psg). La Juve ha un enterprise value stimato in 1,8 miliardi mentre le milanesi viaggiano tra 1,1 e 1,3. Il Napoli “vale” intorno a 700 milioni. In finanza, l’Enterprise Value è la somma del valore degli asset di un’azienda e coincide con la somma tra il debito e il valore del patrimonio degli azionisti. Football Benchmark lo stima applicando un multiplo ai ricavi corretto per una serie di indicatori come la profittabilità, il numero di follower, la proprietà dello stadio e i diritti tv del mercato nazionale di riferimento.
Gli incredibili ricavi della Premier
Non c’è da stupirsi: i ricavi della Premier (6,6 miliardi) sono il triplo della Serie A e quasi il doppio di Liga e Bundesliga. Peraltro, il campionato italiano è l’unico i cui ricavi per il biennio in corso (2022-2024) sono attesi sotto i livelli pre-Covid. Gli stenti dell’asta per i diritti tv del ciclo triennale che inizierà nel 2024 non lasciano prevedere nulla di buono. In un mercato italiano stagnante, c’è chi cresce a ritmi notevoli, anche se la distanza da colmare è tantissima: il Milan è il club europeo che secondo Football Benchmark registra la crescita annua più elevata (+83%). Gli altri al galoppo sono Aston Villa (+78%), West Ham (+77%), City (+64%) e Villareal (+60%). Con i dati che filtrano sui ricavi e gli utili della stagione appena trascorsa, i rossoneri proseguiranno il percorso di crescita avviato ma tutta l’industria calcistica ha fatto segnare un rialzo dei valori dopo la parentesi della pandemia. Tra le italiane, spiccano Napoli (+46%), Lazio (+42%) e Roma (+34%) ma pure Atalanta (+27%) Inter (+26) e Juve (+12%) crescono. Negli ultimi sette anni, l’Inter è tra i club cresciuti di più (+284%). Una visione d’insieme di queste cifre mostra come le distanze tra i top e tutti gli altri abbiano ripreso a crescere.
L'esempio del Milan
I margini per recuperare il gap sono stretti senza la capacità di crescere insieme come movimento. Il calcio è un business competitivo, ma anche cooperativo: senza una capacità di vendere il prodotto collettivo, chi investe in Serie A correrà sempre col freno a mano tirato. Serve meno conflittualità e una conoscenza delle nuove tecnologie e dei mercati più appetibili come quello americano. Il Milan lo sta facendo ed è l’unico club italiano a raccogliere risultati incoraggianti ma, senza un progetto comune (come ha fatto la Premier dagli anni ’90 in poi) la sfida resta impari. Come l’irruzione dei miliardi sauditi modificherà questo equilibrio è un altro aspetto da verificare con attenzione nei mesi futuri. Le prossime rilevazioni di questi report finanziari forniranno un’indicazione su quanto profonda sarà la linea di faglia tra i campionati europei incumbent e il nuovo gigante del calcio mondiale.