L’uscita ufficiale della Juventus dalla Superlega offre chiavi di lettura diverse. Una è quella interna al club: la scelta della nuova dirigenza, avallata certamente dalla proprietà, cancella l’ultima eredità dell’era di Andrea Agnelli. Scrive la parola fine a un progetto, di calcio e di business, che aveva portato la Juve a dominare la Serie A e proiettarla sulla scena internazionale come la società italiana più capace di interpretare il nuovo paradigma economico globale: quello basato su economia digitale, social, sfruttamento dello stadio, visibilità del brand. Per alcuni anni, il treno della Juve era parso inarrestabile per poi infrangersi sulla scelta di abbattere, con investimenti faraonici, il muro dell’appartenenza a un mercato nazionale in declino che la separava dal gruppo di testa dei club europei. Quella scelta, di cui la spericolata operazione-CR7 offriva l’immagine più simbolica, era fortemente legata anche alla gestazione della Superlega, la cui genesi non fu un capriccio di Agnelli o di Florentino Perez ma piuttosto la logica composizione di interessi contrapposti coagulati negli anni. Cioè quella tra le aspettative economiche di chi sopportava il rischio di impresa, da una parte. Dall’altra, la vocazione politica che il governo di un’industria basata sulla diffusione capillare, anche nei mercati meno ricchi, inevitabilmente richiede.
Gli scenari
Il conflitto tra competizione e cooperazione, tra capitali e consenso. Agnelli tentò di condurre la Juve nella élite economica ma, per riuscirci senza i fatturati degli altri, cercò di metterle il turbo col ricorso agli investimenti spesso scriteriati. Scommettendo quindi sulla possibilità di ripagarli col jackpot della Superlega. Oggi, l’azionista prende atto che quel piano è finito. Dal punto di vista del mercato calcistico, il sipario sulla Superlega non implica che gli attuali assetti di governance durino in eterno. Sulla posizione dell’Uefa pendono cause presso gli organi di giustizia europea e i tribunali di qualche paese. Nel frattempo, lo strapotere della Premier e lo sbarco prepotente degli arabi sono fattori che contribuiscono a creare squilibri. Dagli squilibri nascono malcontenti da cui possono germinare idee per aprire nuove opportunità. Non si chiamerà Superlega e non sarà a 20 squadre. Forse nessuno avrà il posto garantito e per diritto acquisito ma state certi che nuovi format vedranno la luce, studiati per incrementare il rendimento economico di ogni minuto di calcio giocato. Forse ben prima di quanto si immagini.