I pensieri forti dietro il calcio semplice

Leggi il commento sul Corriere dello Sport-Stadio sulle filosofie calcistiche degli allenatori
Roberto Beccantini
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Ma cos’è il calcio, depurato dalle ideologie: scienza, arte, riffa? Se scrivo che è un po’ di tutto, mi sbattono a pedate nel girone dei cerchiobottisti, uno dei più malfamati. Le fazioni sono distanti, o così fingono; le edicole vi soffiano, giulive. Il mercato è il viagra del popolo; la caccia alle mutazioni del pallone rappresenta, invece, il “reddito” di cittadinanza degli aspiranti tromboni. Li fa sentire protagonisti del dibattito filosofico che, in chiave tattica, ne incarna e agita i pulpiti. Fresco di scudetto con il Napoli, e di divorzio da Napoli, Luciano Spalletti sghignazza: «Che sia facile lo dicono persino i sassi. Bisogna smarcarsi, dobbiamo porci un obiettivo: se la solita minestra o tracce di diverso, di moderno, come succede nei lavori di concetto, dove la scintilla incide non meno della legna». Ops. È la risposta, sempre in canna, alla dottrina di Massimiliano Allegri, fondata sulla parabola della semplicità. Se decorata di campioni e di risultati, cammina da sola; in caso contrario, scivola nel qualunquismo e sono lividi amarissimi.

Il pragmatismo di Ranieri

Per Claudio Ranieri - artefice del miracolo Leicester, mai dimenticarlo - dipende. In ordine sparso: dalla stoffa della rosa, dal valore del tecnico. A voi: «Il calcio è semplice, si può vincere e perdere in un sacco di modi. Non è dogmatico: guai se lo fosse. A renderlo arzigogolato sono gli allenatori, i commentatori. E talvolta, addirittura, gli atleti stessi».

La scuola di Fusignano

Il Brasile ha scelto Carlo Ancelotti quale ct della Nazionale (dal giugno del 2024). Si tratta di uno “studente” laureatosi all’università fusignanista e poi messosi in proprio. Non più l’assoluto del bombardamento nozionistico, ma il relativismo del professore pacioso e pacifista che ha raccolto titoli ovunque in forza della sua flessibilità didattica: «Sì, il calcio è cambiato molto. Quello che non è cambiato è che la differenza la fanno i giocatori». Mamma mia che sberla.

La scuola olandese

Confesso d’ignorare chi fosse l’“allenatore” di Albert Einstein. In compenso, fu Johan Cruijff a fare di Pep Guardiola un centrocampista visionario e, in nuce, il docente più ispirato e ispirante. Cruijff, il profeta del “totaalvoetbal”. La negazione del posto fisso, almeno nella accezione cara a Checco Zalone. Il batavo che coltivava il baseball per nutrire l’istinto, lo spazio. Gli dobbiamo questo slogan: «La qualità senza risultati non conta nulla. I risultati senza la qualità sono noiosi». Un “pareggio” che non taglia né teste né testi. Nel dubbio, arriva la mazzata: «Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile». Ops. Non siamo più alla dicotomia fra gioco e giocate, siamo al gioco di parole, a lemmi che fanno capire quanto le radici e il rispetto della manovra, se non puoi srotolare l’Ajax degli anni Settanta, costituiscano pietre cruciali e apicali nella creazione del castello. A patto che lo si voglia. Veniamo al dunque. Lo sport, in generale, è un armadio strapieno che pesa tonnellate. Per smuoverne l’evoluzione anche di pochi centimetri serve il pensiero forte, non il pensiero unico. Semplice, no?


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