"Paolo, avvicina la cornetta al ring: voglio sentire il rumore dei pugni!". Paolo era Taveggia, si trovava negli Usa, a bordo ring seguiva uno dei primi eventi sportivi in compagnia di Rino Tommasi telecronista, acquistati dalla tv di Silvio Berlusconi. Dalla regia di Milano due lo chiamava per segnalargli il correttivo e rendere più attraente il match. Fin da allora la cura del particolare fu la grande lezione impartita dall’imprenditore milanese nel mondo della tv che si apprestava a conquistare e poi a cambiare profondamente. L’avrebbero poi battezzato “sua emittenza” e sarebbe stato l’inizio di uno straordinario romanzo nazional popolare che avrebbe in sequenza stregato legioni di tifosi (Milan), milioni di italiani pronti a votarlo (Forza Italia) e assicurato lavoro e benessere a centinaia di giovani realizzando l’impero mediatico finito sotto la scritta Mediaset.
La visione
Che dietro ogni sua nuova impresa, ci fossero i segni più evidenti di una intelligenza viva e di una visione unica, è documentato non tanto dalla testimonianza affettuosa di Fedele Confalonieri ("io faccio lobby, Silvio è un genio") ma dai risultati collezionati puntualmente in ogni intrapresa. Prima della tv, quando costruì Milano due a seguito del felice esordio in Brianza, Berlusconi rivelò un raffinato ingegno. Un esempio? Per aggirare un grave ostacolo (il quartiere si trova nel cono d’atterraggio dell’aeroporto di Linate) decise di costruire un ospedale, l’attuale San Raffaele affidato alle cure di don Verzè: quella genialata costrinse gli aerei a modificare la rotta precedente per non sorvolare i tetti della magnifica struttura, diventata eccellenza della sanità italiana che l’ospitò tre-quattro volte (per l’intervento alla prostata, dopo il lancio della statuetta, per l’operazione al cuore e da ultimo nel settembre del 2020 per l’infezione da Covid).
La nuova era
Cavaliere del lavoro in riconoscimento dei primi successi, cominciò la sua straordinaria cavalcata superando, con l’aiuto di Craxi presidente del consiglio dell’epoca, i primi ostacoli (il blocco dei pretori): fu l’inizio della nuova era televisiva fino a quel momento storico dominata dal monopolio della Rai e scandito dall’avvento delle prime tv libere. Tentò anche l’espansione europea aprendo con soci Telecinco in Spagna e la Cinq in Francia, operazione quest’ultima benedetta dal presidente Mitterand e respinta successivamente dal successore Chirac.
L'incontro con Galliani
A dargli una mano per trasformare l’impianto originario di una televisione di quartiere, in un network, fu Adriano Galliani, proprietario di Elettronica industriale, azienda di Lissone, in Brianza, specializzata nell’allestimento di ripetitori tv. Nacque in quei mesi un sodalizio personale che sarebbe durato una vita, come per la maggior parte degli storici esponenti che hanno scortato Silvio Berlusconi fino alle ultime ore della sua straordinaria esistenza. Toccò a quel manager brianzolo che sapeva di calcio e tifava per il Monza (era diventato vice-presidente) battere tutto il territorio italiano, acquistare fette di terreno incolto dove installare le antenne che avrebbero garantito la copertura nazionale del segnale. Nacque così la nuova tv commerciale, le tre sigle, Canale 5, Rete4 e Italia1 sulle prime entrate nelle case degli italiani grazie ai volti noti di Pippo Baudo, Mike Buongiorno, Raffaella Carrà. Fu l’inizio di una grande rivoluzione culturale e sociale del Belpaese.
Il salva-Milan
In quegli stessi mesi, a cavallo degli anni ’80, Silvio Berlusconi, di ritorno da un viaggio a Parigi, decise di entrare nel mondo del calcio e di salvare il Milan, la “religione” a cui l’aveva avviato papà Luigi, finito sull’orlo del fallimento (gestione Farina). Il debutto fu uno show spettacolare, molto televisivo e poco tradizionale: estate del 1986, il raduno all’Arena di Milano con la squadra catapultata dagli elicotteri atterrati sul prato, mandò in visibilio i tifosi che premiarono con una campagna abbonamenti generosa (50 mila in pochi giorni) quella trovata pubblicitaria.
L’episodio venne stroncato da foschi pronostici di rivali spiazzati dall’irruzione del nuovo protagonista. "Con quegli elicotteri dovranno scappare da San Siro" scommise Stefano Tacconi, portiere della Juve, la razza padrona dell’epoca che intuì subito il pericolo. Mal gliene incolse. Per nove anni la Juve di Agnelli rimase a secco di scudetti mentre il Milan di Sacchi e Capello collezionarono scudetti e Champions league, trionfi in giro per il mondo.
Passione familiare
La scelta del Milan non fu casuale. Silvio Berlusconi riannodò infatti il filo della passione di famiglia (da bambino accompagnava papà Luigi alle partite del Milan) e fu anche qui l’inizio di un nuovo mondo, sconosciuto ai più, oltre che la fine della dittatura economico-sportiva della Juventus, emanazione della Fiat degli Agnelli. Come nelle sue attività imprenditoriali, anche nel calcio, Silvio Berlusconi si diede da subito ambiziosi traguardi. Pensare in grande è stato il suo motto per una vita. Nell’estate dell’87, iniziativa unica per quei tempi, radunò tutto il mondo Milan, dai giardinieri di Milanello fino ad Arrigo Sacchi, nel castello di Pomerio e fissò davanti alla platea quasi spaventata dall’ambizione confessata, la missione impossibile. "Dovremo diventare la squadra più vincente al mondo" disse. Lo presero per matto: Billy Costacurta per primo. Cambiarono idea qualche mese dopo, milanisti e non, commentatori e concorrenti.
Sacchi e gli olandesi
L’apprendistato durò appena un anno o poco più. Poi, con la scelta di Arrigo Sacchi come allenatore, e l’arruolamento di campioni da svezzare (Donadoni e Massaro durante il primo mercato) e stranieri promettenti (Gullit, Van Basten e Rijkaard), cominciò a scalare l’Italia (scudetto conteso e strappato al Napoli di Maradona nell’88) e l’Europa (due coppe dei Campioni di fila) alzando la coppa Intercontinentale vinta in quel di Tokyo che valse l’inizio di un ciclo inimitabile durato la bellezza di 31 anni. Dopo Sacchi, toccò a Capello, altra invenzione personale di Silvio Berlusconi. Lo avevano stroncato con la definizione di “signor nessuno”: vinse 4 scudetti in 5 anni, conquistò tre finali di Champions League scandite dal trionfo di Atene, 4 gol sulla schiena del Barcellona allenato da una leggenda, Johan Crujff.
Presidente e Premier
In quella stessa, tenera sera di maggio del 1994, Silvio Berlusconi riceveva il voto di fiducia del Senato al suo primo governo e inaugurava la sua seconda vita, quella politica che molti trionfi elettorali gli avrebbe garantito insieme a una valanga di veleni, attacchi infiniti e disavventure giudiziarie. La foto simbolo è datata 2002, scattata a Pratica di mare, quando stringe le sue mani con quelle di George Bush e Vladimir Putin: è la fine della guerra fredda tra le due grandi potenze mondiali e l’inizio di una nuova era diplomatica. Il suo Milan, nel frattempo curato e assistito da Adriano Galliani, non rimase a guardare. E con le provvidenze economiche di Fininvest, la cassaforte della famiglia, continuò nella collezione di Palloni d’oro e risultati esaltanti. Dopo Capello, ci fu Carlo Ancelotti rimasto otto anni sulla panchina rossonera e con lui furono centrate le altre due Champions, a Manchester contro la Juve nel 2003, ad Atene, città adottiva dei rossoneri, nel 2007 contro il Liverpool che pure aveva inferto la più cocente delle delusioni (Istanbul 2005: 3 a 0 dopo il primo tempo, 3 a 3 alla fine e rigori favorevoli agli inglesi). Altre stelle presero a splendere nel cielo di San Siro (Kakà).
L'addio al Milan
I primi malinconici segnali della fine dell’impero calcistico milanista sono concentrati in due date significative: gennaio 2012 quando Silvio Berlusconi chiese a Galliani di mandare a monte la doppia operazione di mercato già conclusa (Pato ceduto al Psg per 15 milioni e Tevez assunto a Milanello) per non indispettire la figlia Barbara, all’epoca fidanzata del giovane attaccante brasiliano; giugno del 2012 quando, per esigenze di bilancio, la Fininvest chiese al Milan un sacrificio sanguinoso, far partire Ibrahimovic e Thiago Silva, ceduti entrambi al Psg per una cifra ragguardevole, quasi 100 milioni tra valore dei cartellini e stipendi. Di lì a poco sarebbe maturata la decisione di cedere addirittura il club: svanita la prima pista (un brocker thailandese, Bee Taechaubol), andò in porto la seconda, costituita da un misterioso cinese aiutato nell’operazione dal prezioso prestito di Elliott che poi ritirò tutto il pacchetto azionario a causa dell’insolvenza di mister Li.
Il nuovo amore
La passione per il calcio di Silvio Berlusconi, intatta, ha conosciuto la seconda puntata con l’operazione Monza, maturata nell’estate del 2018 e presentata al grande pubblico nel settembre dello stesso anno in una conferenza-stampa. "L’obiettivo è quello di riportare la squadra dove non è mai stata: in serie A" promise Silvio Berlusconi. Anche questa volta gli diedero del pazzo visionario prima di ricredersi dinanzi al traguardo centrato nel giugno 2022 impreziosito dagli squilli successivi con la Juve e l’Inter.