Uefa, quanti guai: dalla Superlega alle risorse, tutte le accuse

Non solo la Superlega (oggi A22) da cui si appresta a uscire la Juve: la base chiede al calcio più soldi
Uefa, quanti guai: dalla Superlega alle risorse, tutte le accuse© EPA
Alessandro F. Giudice
7 min
Avete mai sentito parlare del FC Swift Hesperingen? Probabilmente no. Ha appena vinto il suo primo titolo lussemburghese ma difficilmente la sua fama uscirà dai minuscoli confini nazionali. Il punto è che il Swift Hesper non potrà mai farsi conoscere proprio perché costretto, dalla sua appartenenza nazionale, a giocare nel campionato dilettantistico di uno stato con 650mila abitanti. Come un quartiere di Roma, Parigi o Londra. L’anno scorso, il Swift Hesper promosse una causa (tuttora pendente) contro Uefa e federazione lussemburghese perché l’attuale disciplina del calcio europeo gli impedisce di iscriversi al campionato belga o tedesco oppure, alternativamente, di promuovere una lega del Benelux che avrebbe dimensioni maggiori, consentendogli di incassare di più dai diritti tv vendendo un prodotto più appetibile. Finché resterà in Lussemburgo, dice il club, non potrà mai competere seriamente per partecipare, a esempio, alla Champions. Le attuali limitazioni regolamentari, insomma, impediscono agli azionisti del club di rischiare capitali con la speranza di incrementarli, escludendoli da opportunità riservate oggi a investitori di altre nazioni. Questo, dicono gli azionisti del Swift Hesper, è contrario allo spirito della libera circolazione dei capitali che ispira l’Unione Europea rendendo uguali i cittadini della comunità. Il caso sollevato dal piccolo club lussemburghese è solo uno di sei azioni legali promosse da diversi soggetti determinati a mettere in discussione l’attuale sistema con l’Uefa al vertice del calcio europeo.

La nuova Superlega

Il più noto è naturalmente quello promosso alla Corte di Giustizia Ue dalla Superlega, oggi diventata A22 (da cui si appresta a uscire la Juve). Ora la nuova società, nata dalle ceneri del progetto affondato nell’aprile 2021, propone un format decisamente diverso: molto più allargato e con maggiore presenza della componente meritocratica. Perfino l’Eca, l’associazione dei club europei di cui è presidente Nasser Al-Khalaifi (proprietario del Psg) ha un nuovo competitor nella neocostituita Union of European Clubs (Uec). In ogni caso, è difficile pensare che l’equilibrio esistente possa restare inalterato per molto tempo, perché le pressioni economiche spingono in varie direzioni e perché i conflitti strutturali alla base delle spinte centrifughe da cui era scaturita la Superlega sono tuttora presenti. L’Uefa ha fatto poco o nulla per affrontarli, forse illudendosi che mettere sotto scacco gli ultimi ribelli bastasse a risolverli. 
Da una parte ci sono i grandi e grandissimi club, portatori di introiti economici immensi grazie alla forza di brand ormai planetari e a investimenti colossali per allestire squadre che arricchiscono lo spettacolo, calamitando l’attenzione dei telespettatori. Dall’altro, un organismo nato come regolatore e arbitro del sistema, trasformatosi nei decenni nell’impresario organizzatore del più ricco evento sportivo al mondo: la Champions League. Per sua natura, l’Uefa è organizzazione politica, il cui ruolo può reggersi attraverso la distribuzione delle risorse, ma la cui forza proviene dal consenso numerico: il voto delle piccole federazioni conta come quello delle grandi. I piccoli club spingono per una ripartizione più “democratica” mentre i grandi vogliono ovviamente criteri più rispettosi della loro maggiore forza attrattiva. Il dissidio si trasferisce all’interno delle leghe nazionali.

Le proposte di Germania, Francia e Spagna 

In Germania, la proposta di assegnare per 2 miliardi a una cordata di fondi di private equity il 12,5% dei diritti televisivi della Bundesliga è stata sorprendentemente affondata, non avendo raggiunto la necessaria maggioranza di due terzi. Un progetto che - come osserva la Frankfurter Allgemeine Zeitung, autorevole quotidiano finanziario tedesco - costituiva l’occasione per non restare indietro mentre il treno viaggia. Fallita perché, osserva il quotidiano, alcuni club non riescono a cogliere “the big picture”. Operazioni simili sono invece passate in Francia e Spagna (nonostante l’opposizione di Real e Barça) mentre la Serie A non aveva raggiunto l’accordo. Anche tra le diverse leghe nazionali, pesa uno sbilanciamento finanziario clamoroso tra la Premier e tutte le altre. La presenza di forti squilibri di mercato - imbalances li chiamano gli economisti - sta già provocando turbolenze da cui l’ecosistema prenderà direzioni oggi difficili da prevedere. Di solito, prima o poi il mercato corregge sempre gli imbalances. Ignorarli significa condannarsi a subire gli eventi. 

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