Lunedì cerco Rummenigge per sentirlo su Eintracht-Napoli. Lo trovo a tarda sera. Con un messaggio mi dà appuntamento alla mattina seguente («Ero fuori con gli amici, ti telefono io»). Le dieci del giorno della partita, e Kalle chiama: col cavolo che rinuncio a una chiacchierata con lui, anche perché un’altra vigilia, quella di Inter-Porto, la rende ancora più attuale. Rara sintesi di intelligenza, conoscenze e autonomia di pensiero, il Rummenigge interista prevale sentimentalmente su quello bavarese, sui quarant’anni di Bayern, dieci da giocatore, il resto da dirigente illuminato. «Tre quarti della mia vita, ho chiuso nel 2021» precisa. «Ma non sono uscito dal calcio, non del tutto, faccio ancora parte dell’esecutivo Uefa e di quello della federazione tedesca. Fin troppo (sorride)».
Una porzione della tua anima se l’è presa l’Inter.
«Una parte significativa, forse la più divertente. La mia Inter sono i tifosi, quella gente, il loro affetto. Ricordo una partita dell’84, il 4 a 0 alla Juve».
Era l’11 novembre.
«Il mio primo gol in campionato. Fallo laterale, il pubblico si trova a cinque metri dalla linea e sento urlare “Kalle!, Kalle!”. Da pelle d’oca, una sensazione che non avevo mai provato... Negli anni 80 la serie A era il top mondiale. In Germania abbiamo a lungo pensato che i vostri presidenti, tutti italiani, si fossero messi d’accordo per organizzare il miglior campionato al mondo: massimo due stranieri per squadra e anche per i club medio piccoli la possibilità di acquistare i campioni. Il Paese, all’epoca, stava bene».
Se la passava meglio di ora, ma non bene.
«Oggi l’unico campionato vivo è la Premier, l’Inghilterra spende cifre astronomiche e in modo poco intelligente, irrazionale, gli altri Paesi vanno avanti tra sofferenze finanziarie e scandali, ma riescono ugualmente a portare a casa i trofei. Questo vuol dire che gli inglesi commettono errori pazzeschi, il loro è un mercato fuori controllo. Il Chelsea a gennaio ha buttato centinaia di milioni per ritrovarsi al decimo posto e con quasi la metà dei punti di chi è in testa: è una cosa assurda. La globalizzazione del mercato ha creato degli scompensi penosi, un tempo esisteva il mercato nazionale, i soldi circolavano all’interno del sistema, le ricchezze venivano distribuite meglio».
Facendo parte dell’esecutivo Uefa, non puoi che dichiararti contrario alla Superlega.
«Totalmente. Non a caso l’idea è venuta a tre club con enormi problemi di liquidità. Puntavano a ottenere ricavi importanti in tempi rapidi. Ora la proposta della Superlega è passata da 20 a 80 squadre, ma il calcio non reggerebbe uno stravolgimento così radicale. Quello che invece bisogna cambiare, e in fretta, è il Fair Play Finanziario, dovrà essere più rigido. I club sono costantemente sotto la pressione dei tifosi e dei media che impongono di spendere e spendere. Ma il calcio è l’unica industria che produce solo perdite… (fa una pausa) Leggendo cosa aveva combinato la Juve non ci potevo credere, mai sentita una cosa simile in vita mia. La Juve è una società importantissima, di riferimento per il calcio italiano e europeo, si è fatta un clamoroso autogol, sono comunque sicuro che sarà in grado di ricostruirsi. Nei tempi giusti».
C’è chi ha fatto di peggio: il Barcellona ha versato milioni al vicepresidente degli arbitri.
«Mi credi se ti dico che ho riso leggendo questa notizia. La cosa però non mi stupisce: ogni volta che giocavamo in Spagna avvertivo una strana sensazione».
Si parla di Liga, non di Europa.
«Sono cose inaccettabili che non investono soltanto il torneo nazionale. Anche il tema arbitrale va affrontato con molta serietà. E rispetto».
Per nostra fortuna il calcio italiano, oltre che dall’Inter e dal Milan, è rappresentato in Champions da questo Napoli.
«Mi piace il Napoli, e mi piace Osimhen, anche l’allenatore mi piace parecchio. Lo incontrai il giorno del matrimonio di mia figlia. Festa al castello di Giffoni, Spalletti aveva casa da quelle parti e casualmente ci trovammo. Bevemmo un espresso e parlammo di calcio, naturalmente. Nel Napoli si nota la sua mano, non si può dire che abbia giocatori famosi, di nome, e questo dà ancora più valore al suo lavoro».
Più forte questo Napoli o quello di Maradona? E, visto che ci siamo, meglio Diego o Messi?
«Non so rispondere alla prima domanda, ma alla seconda sì. Maradona e Messi sono due giocatori diversi».
In che senso, scusa?
«Diego in campo ha subìto un trattamento inaccettabile. Un martellamento continuo da parte degli avversari (dice proprio “martellamento”, nda). Ricordo un’Inter-Napoli in cui i nostri lo pestarono di brutto. Al contrario, Messi è protetto dalle regole e dagli arbitri. Come viene toccato, fischiano fallo. Non discuto le sue qualità tecniche, è un campione assoluto, ma per me Maradona resta il più grande della storia».
Torniamo all’idolo napoletano del momento. Il Bayern si è mai avvicinato a Osimhen? Penso, ad esempio, a quando si è dovuto porre il problema della sostituzione di Lewandowski…
«Fino a quando ci sono stato io, no. E quando la scorsa estate se n’è andato Lewandowski il Bayern aveva già preso Mané, che ha un ruolo e caratteristiche diversi. Nel club si avvertiva la necessità di cambiare strada tatticamente, cercavano qualcosa di nuovo».
Kolo Muani potrebbe essere l’ideale sostituto di Osimhen, il giorno che questi dovesse essere venduto?
«L’aspetto più sorprendente di Kolo Muani è che l’Eintracht l’ha preso a zero, il direttore sportivo ha compiuto un capolavoro. A Francoforte Kolo è esploso e ha fatto il bene della squadra. Ora in campionato sono sesti, ma sono stati anche quarti, l’Eintracht è un club che ha quasi sempre lottato per non retrocedere».
Al Bayern basterà l’1-0 di Parigi per passare il turno?
«All’andata l’ingresso di Mbappé ha cambiato il ritmo e spostato gli equilibri della partita. Ora Neymar è infortunato, ma la qualificazione del Bayern è comunque complicata da Messi e Mbappé, un giocatore impressionante. L’ho visto dal vivo nella semifinale e nella finale del Mondiale in Qatar, ha una velocità senza senso».
Kalle, non pensi che si sia data troppo importanza agli allenatori?
«Da anni si parla in prevalenza di tattica. Io credo invece che nel calcio conti ancora, e tanto, la qualità individuale, l’intelligenza dell’atleta. Ai miei tempi si giocava un calcio diverso, mano contro mano, uomo contro uomo, il difensore che doveva occuparsi di me all’intervallo mi seguiva anche al gabinetto».
Uno da inseguire, ma non al gabinetto, è Gianni Infantino: adesso la Fifa si è inventata il Mondiale per club a 32 squadre. Tutti ripetono che si gioca troppo e lui…
«Il format del Mondiale per club è superato, produce finali inutili, prive di senso. Un tempo si affrontavano un’europea e una sudamericana. Nel 2021 a Doha trovammo una messicano, quest’anno il Real ha battuto una araba. Le europee esprimono una superiorità che deprime lo spettacolo... Si gioca troppo, certo, perché sono aumentati notevolmente gli impegni delle nazionali. Noi giocavamo al massimo 8 partite l’anno con la Germania, oggi hanno qualificazioni europee e mondiali, Nations League e altri tornei sparsi. In questo caso sarebbe utile tornare al passato, razionalizzando il calendario».
Non pensi che ci vorranno molti anni per rivedere una serie A al top? La Germania ha difeso il patrimonio dei tifosi con stadi moderni e una cultura della fruizione sportiva capace di fidelizzare le famiglie. L’Italia invece ha investito solo nei cartellini dei giocatori, ignorando le infrastrutture. Quanto pesa questa scelta?
«Fino a quando gli stadi saranno di proprietà dei comuni le cose non potranno cambiare. In Germania eravamo messi come voi, il Mondiale 2006 ci permise di superare questo ostacolo e abbiamo costruito impianti bellissimi per le famiglie. L’organizzazione degli Europei 2032 potrebbe servire all’Italia per seguire il nostro esempio, io spero che vi vengano assegnati».
Anche perché a noi devi i calzini in seta nera al ginocchio.
«Li porto ancora. Merito del Barone Causio. Il giorno della presentazione all’Inter notò i miei bianchi e corti e mi obbligò a rivolgermi a un negoziante amico suo, di domenica. Franco viaggiava in Mercedes e vestiva elegante. Fu la prima lezione di italiano».