Teppisterie

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Teppisterie© ANSA
Alessandro Barbano
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La cronaca ci restituisce il triste copione degli scontri tra tifosi e l’immancabile annuncio di un nuovo giro di vite, con pene e misure di sicurezza più dure. Ma la memoria degli ultimi decenni ci insegna che, purtroppo, l’idea di fermare la violenza con l’effetto deterrente della severità penale è una pia illusione. In realtà l’appuntamento tra le due “teppisterie” rivali di romanisti e napoletani all’autogrill Badia al Pino, già teatro di una tragedia, suggerisce un dovere di sorveglianza di quella democrazia digitale dove i conflitti si preparano. Tutto nasce nella prateria disintermediata del web, dove pure sarebbe possibile, adottando gli strumenti dell’intelligenza artificiale, cogliere i segnali premonitori e i germogli della violenza. Le pene esistenti sono più che sufficienti, la flagranza differita consente di intervenire nelle trentasei ore successive agli scontri e disporre misure cautelari, il Daspo selettivo ha una sua efficacia, il coinvolgimento delle società nell’identificare e nell’isolare i violenti può risultare decisivo. Ma la sportività è una zona ancora ambigua che va presidiata, individuando i fattori di rischio ed evitando di arretrare sul governo degli spazi pubblici, impedendo per esempio che un gruppo di ultrà disponga l’evacuazione di una curva come se fosse una zona franca da cui l’ordine pubblico resti fuori.

Ma al netto di queste misure preventive, c’è una questione di lungo periodo che ci interroga di fronte alla violenza dentro e fuori dagli stadi. La riassumo in una domanda provocatoria: quanti dei centottanta fermati di fede giallorossa e azzurra hanno completato gli studi dell’obbligo e quanti beneficiano del reddito di cittadinanza? Mi piacerebbe saperlo, perché sono convinto che questa violenza sia figlia anche dell’ignoranza civile e del parassitismo sociale, attraverso il quale lo Stato ha stabilito un patto a perdere con ampie fasce sociali e aree del Paese. In un Mezzogiorno dove solo il 46 per cento dei cittadini ha un lavoro, e dove il numero dei giovani inattivi è altissimo, la violenza sportiva è ancora un linguaggio in grado di garantire forme di identificazione, ancorché al prezzo di un rovesciamento civile. Contro la violenza servono lavoro e doveri civici, non assistenzialismo e diritti a buon mercato. Nessuna sanzione penale sarà in grado di estirpare il teppismo, quanto la lotta alla dispersione scolastica, che in alcune regioni tocca un quarto della popolazione studentesca. Quanto ha speso fin qui l’Italia, e con quali risultati, su educazione, formazione e avviamento al lavoro? E quanto ha sperperato in assistenza e burocrazia giudiziaria? Prima di annunciare l’ennesimo pacchetto sicurezza di nuovi reati e pene più severe, proviamo a rispondere a queste domande. Non avremo la soluzione del problema, ma almeno un modo razionale di affrontarlo.


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