Vialli, la splendida farfalla con i riccioli

Il miglior momento non è stato alla Samp o alla Juve o negli anni inglesi al Chelsea. Il più vero  ha giocato a casa sua nella Cremonese
Vialli, la splendida farfalla con i riccioli
Alberto Polverosi
12 min

Molti diranno che non è vero, che è solo una nostalgia, ma chi scrive ne è certo: il miglior Vialli non ha giocato nella Samp, dove ha vinto uno scudetto grandioso e altro ancora, nemmeno nella Juventus, dove ha vinto tutto, e neppure nel Chelsea, dove oggi lo ricordano come uno di loro e dove ha concluso la carriera con altri cinque trofei. Il miglior Vialli, il Vialli più vero, ha giocato nella squadra di casa sua, la Cremonese. Era mingherlino in quegli anni, ma aveva la forza di un leone. Aveva dei riccioli neri che sembravano scossi da scariche elettriche e aveva quel modo di partire con la palla al piede che faceva sognare i tifosi e il suo primo indimenticabile presidente Luzzara. Aveva debuttato in prima squadra nel campionato della promozione in Serie B, ’ 80-81, da sedicenne. C’era rimasto fino all’ 84, quando Mondonico, un altro che ha legato Cremona al grande calcio italiano, aveva portato la squadra in Serie A. Capocannoniere dei grigiorossi, manco a dirlo, Gianluca Vialli, 10 gol. Era nato come esterno d’attacco che all’epoca, con più poesia di oggi, si chiama ala tornante ed era il ruolo che richiedeva una dote indispensabile: la fantasia. Vialli ne aveva, eccome, e gli servì anche quando cambiò posizione diventando un centravanti vero o quasi vero. A rivedere oggi certi suoi gol, quelli in rovesciata soprattutto, si intuiscono le sue origini calcistiche. Con la Cremonese era già diventato titolare dell ’ Under 21 allenata da Azeglio Vicini, il suo ct, che non riuscì a tradirlo nemmeno al Mondiale del ’ 90. Luzzara lo aveva pagato mezzo milione di lire al Pizzighettone, ne incassò tanti di più quando Paolo Mantovani si presentò per chiedergli quel ragazzino. Era uno dei giocatori su cui sarebbe stata costruita non una squadra, ma una favola, una leggenda che ancora oggi alimenta i sogni dei tifosi doriani. Che negli ultimi anni lo avrebbero rivoluto sulla loro sponda anche come presidente, sapevano che Vialli era garanzia, se non di successo, di lealtà, di professionalità, di appartenenza. È impossibile raccontare Gianluca senza raccontare il Mancio. La Samp è stata la loro vita, è stata tutto per quei due che a Bogliasco ne combinavano di tutti i colori. In ordine di importanza e partendo dal basso erano compagni di squadra, amici, fratelli. Roberto, pupillo di Mantovani, era arrivato due anni prima. In panchina Renzo Ulivieri, al centro dell’attacco Trevor Francis, un bel calcio ma settimo posto. L’anno dopo, stesso risultato.

Ci voleva una scossa per le ambizioni di Mantovani e arrivò Vialli per vincere il primo trofeo di un decennio indimenticabile. La Coppa Italia, Gianluca segnò il 2-1 nella finale di ritorno contro il Milan. La Samp era entrata in Europa, avrebbe giocato in Coppa delle Coppe. Nella sua prima stagione doriana non era sempre titolare, a volte giocava al posto di Francis, più spesso insieme. Tre gol in un campionato, per il cannoniere che sarebbe diventato, erano pochi. Molti di più erano i dubbi sul ruolo. A Cremona giocava sulla fascia, nella Samp faceva a volte l’ala, a volte il centravanti. All’inizio le sue caratteristiche stentavano a farsi capire. Il legame con Mancini era sempre più forte, sempre più vero. Roberto era istintivo, ma perché l’istinto non lo tradiva mai. Luca era più riflessivo, anche se una volta lo abbiamo visto trasformare uno spogliatoio in un ring. Lo racconteremo un po’ più avanti. In campo, Mancio disegnava un calcio da artista, Luca lo traduceva in gioiosa concretezza. Da giornalista non vi nascondiamo che era uno spasso seguire la Samp in Europa. Nella Coppa delle Coppe prima partita a Larissa, in Grecia, gol di Roberto Mancini, gol segnato di punta. Bersellini dirà: « Anch’io li facevo in quel modo » . Secondo e ultimo turno nel fantastico Da Luz contro il Benfica, 2-0 all’andata per i portoghesi, solo 1-0 al ritorno di Marassi per la Samp. Che stava crescendo, come Vialli che nell’anno seguente, con l’arrivo di Boskov, divenne il miglior cannoniere della squadra . Vujadin aveva capito che Mantovani gli aveva affidato un bozzolo da cui sarebbe nata una bellissima farfalla, bastava assecondare quei ragazzi nella crescita portandoli al grado più alto della maturazione. L’ 86 era stato un anno speciale per Vialli. Bearzot lo aveva portato in Nazionale qualche mese prima facendolo debuttare in amichevole contro la Polonia. Bastarono due partite, al ct, per convocarlo per il Mondiale di Messico ’ 86. Il Vecio voleva farne il nuovo Paolo Rossi, presente pure lui in quel Mondiale, ma in pessime condizioni fisiche. Fu Pablito, alla vigilia del debutto contro la Bulgaria, a dire a Bearzot che non era il caso di mandarlo in campo. Centravanti giocò Galderisi, ma nel secondo tempo debuttò anche Vialli entrando al posto di un altro campione del mondo, Bruno Conti. A Puebla, nel ritiro degli azzurri, il gruppetto dei giovani era formato da Galderisi e Vialli, a cui si aggiungevano spesso Di Gennaro e un altro doriano, Vierchowod. Un giorno, Luca fece una scommessa col suo compagno di squadra: « Pietro, se non ho ragione mi puoi rasare i capelli » . Aveva ancora quei riccioli neri, ma perse la scommessa mentre Vierchowod non perse l’occasione, prese il rasoio e lo rapò. La sera, a cena, i reduci del Mondiale ’ 82 scoppiarono a ridere. Sul campo non fu un Mondiale felice per noi, ci mise fuori la Francia di Platini agli ottavi di finale, Gianluca entrò nel secondo tempo, al posto di Galderisi, subito dopo il 2-0 di Stopyra. In Nazionale si stava aprendo un’altra epoca, quella di Azeglio Vicini, e il rinnovamento fu profondo anche perché poteva basarsi sulla ex Under 21 del nuovo ct, una squadra con giocatori fantastici, a cominciare da lui, da Gianluca Vialli.

Nei quasi quarant’anni in cui abbiamo seguito la Nazionale, possiamo dire che il calcio più bello, più vero, più spettacolare espresso in azzurro è stato quello dell’Europeo dell’ 88 in Germania, timbrato dai ragazzi della Samp. Per arrivare a quell’Europeo, l’Italia organizzò alcune amichevoli, una in Lussemburgo nell’aprile dello stesso anno, per festeggiare l’ottantesimo compleanno della federcalcio locale . E meno male che doveva essere una festa. In campo, nonostante il 3-0 dell’Italia, botte da orbi. Insieme a Luigi Ferrajolo, per anni prima firma del calcio del Corriere dello Sport-Stadio e più tardi vice direttore, scendiamo negli spogliatoi un paio di minuti prima della fine della gara, ma non prima di aver visto tale Weis, che nella vita faceva il massaggiatore, massaggiare appunto le caviglie e lo stomaco di Vialli con calci e gomitate. D’improvviso, nel corridoio quasi buio di quel piccolo stadio, si vede correre un gigante con la maglia bianca e dietro uno infuriato con la maglia azzurra, Weis e Vialli. Luca urla: « Fermati mascalzone » . Quello invece scappa. Vialli riesce ad agguantarlo e a centrarlo con un uno-due da far paura.

Weis a l tappeto. Luigi oltre che un giornalista straordinario è un pacifista naturale, cerca di separarli, ma barcolla insieme a loro. Arrivano altri giocatori del Lussemburgo, Vialli ora è circondato, si sta per scatenare una rissa gigante, per fortuna sbucano Zenga e Ferri, non proprio due pesi piuma, ma spunta soprattutto Gigi Riva, all’epoca dirigente accompagnatore della Nazionale, che porta via Vialli e lo spinge nello spogliatoio degli azzurri. Commento di Luca: « Mi sono fatto rispettare » . L’Europeo dell’ 88, allora. Gol di Mancini al debutto contro la Germania e gol pazzesco di Vialli alla seconda contro la Spagna. Lancio di Ancelotti, velo di Altobelli, con un movimento a tagliare Vialli fece fuori il terzino Tomas, diagonale di sinistro, il grande Zubizarreta battuto. Negli spogliatoi, i giornalisti genovesi erano in estasi: « Luca, come hai fatto? La porta era sempre più piccola, il portiere sempre più grande, Luca come hai fatto? » . Quella diventò la domanda dell’Europeo. La Samp proseguì la sua ascesa, spinta dalle reti di Vialli. Di nuovo la Coppa Italia, una finale persa in Coppa delle Coppe contro il Barcellona, un’altra Coppa Italia e stavolta la Coppa delle Coppe fu sua, a Göteborg contro l’Anderlecht, doppietta ai supplementari di Gianluca Vialli. Era il ’ 90, lo scudetto stava per arrivare. In quel periodo Vialli era il primo giocatore nella scala dei valori di Azeglio Vicini. La coppia della Nazionale nel Mondiale di Italia ’ 90 era Vialli-Carnevale, anche se dietro spingevano Baggio e Schillaci. All’esordio con l’Austria Vialli-Carnevale titolari, solo che quando entrò Schillaci, al posto di Carnevale, segnò il gol della vittoria. Alla seconda con gli Usa ancora Vialli-Carnevale, alla terza, con la qualificazione già in tasca, Schillaci-Baggio, un gol ciascuno, e Vicini da quel momento andò avanti con loro, sia negli ottavi che nei quarti. Ma in semifinale, a Napoli contro Diego e l’Argentina, Azeglio non rinunciò a Luca e mise fuori Baggio. La Samp vinse lo scudetto l’anno successivo col record di gol di Vialli: 19 e titolo di capocannoniere della Serie A. E poi arrivò Wembley, una finale maledetta persa con quella sassata di Koeman ai supplementari. Il sogno della Coppa dei Campioni era sfumato, Vialli capì che la sua storia con la Samp doveva chiudersi quella sera a Londra dopo la sconfitta col Barcellona. Lo voleva la Juve dove per quattro anni continuò a segnare e vincere, un altro scudetto, un’altra Supercoppa, una Coppa Uefa, una Champions. Nel frattempo, il passaggio da Vicini a Sacchi, da un calcio italiano che ricordava quello di Boskov al calcio fusignanista, costò a Gianluca il posto in Nazionale. Nel ’ 92 la sua ultima partita contro Malta, segnò e chiuse lì la sua storia in azzurro.

Vialli ha sempre avuto bisogno di allargare i propri confini, ha sempre avuto un’aria internazionale e l’offerta del Chelsea, non ancora quello di Abramovic, non poteva lasciarlo indifferente. Tre anni per chiudere la sua carriera in Inghilterra con altri trionfi, una Coppa di Lega, una FA Cup, una Coppa delle Coppe, una supercoppa d’Europa e una Coppa Uefa, cinque trofei in tre stagioni. Col Chelsea era diventato il primo allenatore-giocatore italiano nella storia della Premier e in quel doppio ruolo aveva trascinato i Blues verso altri successi. E per far capire bene cosa fosse il rapporto fra lui e Mancini basta ricordare questa storia. Licenziato Terim, la Fiorentina pensò a Vialli come sostituto. Mario Sconcerti, all’epoca amministratore delegato del club viola, chiamò Zazzaroni, il direttore di questo giornale che aveva lavorato con Mario fino a qualche mese prima al Corriere dello Sport-Stadio, per avere il numero di telefono di Gianluca. Zazzaroni gli disse che Vialli difficilmente avrebbe accettato: « Provaci, ma perché non chiami Mancini? » . Mario telefonò a Vialli che gentilmente declinò e gli disse la stessa cosa: « Chiama Mancio, vedrai che lui ti dice sì » . Così Roberto Mancini è diventato allenatore, su suggerimento (anche) del suo amico Vialli. Il resto è la storia di questi anni, di questi giorni, di queste ore che stiamo vivendo senza capire perché. Vialli è stato l’idea di un giocatore oltre, di un calciatore pensante. Quei riccioli resteranno nella storia del calcio italiano.


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