ROMA - Una bella riunione di redazione, in un luogo insolito per parlare di giornale e di calcio. Tu Mario eri lì nel mezzo, stranamente silenzioso, ma ti posso assicurare che ne avresti cazziati parecchi, a cominciare da chi scrive, di quelli che tratteggiavano un personaggio. Il tuo. In qualche caso avresti sorriso, in altri ti saresti arrabbiato davvero perché il tono di quel pezzo che tutti noi stavamo scrivendo doveva essere meno triste, più ricco e più adatto a quel personaggio. Nel Tempietto Egizio del Verano c’erano tutti i tuoi ragazzi, caro Sconcerti. C’erano soprattutto le tue donne, Rosalba e Martina, non piegate dal dolore ma fiere, orgogliose di aver avuto come marito e come padre un fiorentino come te. Martina ha raccontato che quando era piccola le tue fiabe cominciavano: “C’era una volta un giornalista”. Oppure: “C’era una volta un giocatore di calcio”. Poche lacrime, ma la tristezza che cercavamo di cacciare via tornava a ogni racconto. Quando hanno parlato i tuoi nipoti ho immaginato cosa dovevi essere nelle riunioni di famiglia. Erano incantati dalla tua presenza, dalla tua esistenza e lo hanno detto con il pudore che solo i ragazzi sanno usare. Per conto mio ho detto ai figli di tuo fratello Marco, che ora abbraccerai insieme a tuo babbo Adriano, che il loro padre era molto più forte di te a calcio. Mi hanno risposto che lo sapevano già. Ai tuoi piedi c’erano dei fiori bellissimi, in una corona avevano riunito gladioli bianchi e rose rosse, i colori della tua città, e in mezzo spuntavano le violette, il colore della tua squadra. Proprio per ricordare quell’oggetto del tuo infinito amore c’era il direttore sportivo della Fiorentina di oggi, Daniele Pradé, tuo amico da anni e anni. Pradé ha arricchito la storia dei tuoi famosi cazziatoni raccontando che le vostre telefonate cominciavano immancabilmente con “Caro Daniele, tu di calcio non capisci niente”. Non posso dire che è stato bello salutarti così, perché non è stato bello. Ma in quell’ora trascorsa tutti insieme, con i ragazzi di Repubblica, della Gazzetta, del Corriere della Sera, di TMW, della Rai, di Sky, di Calciomercato e del Corriere dello Sport-Stadio tutti hanno capito cosa hai lasciato su questa terra. Sono ancora belli quei ragazzi, con un po’ di pancia, con i capelli bianchi, con l’udito ormai andato, ma belli dentro, come li hai cresciuti tu. Avresti pensato che metterli tutti insieme, nello stesso giornale, era un sogno, il tuo sogno. La verità è che eravamo lì come dei fessi, incapaci di capire questa tua ultima fuga in avanti. Oh, eppure c’eravamo abituati, il tuo moto perpetuo è sempre stato uno degli argomenti preferiti quando (spesso) parlavamo di te. Ma quest’ultimo scatto è stato una fregatura per tutti noi. Nessun dribbling, nessuna finta stavolta, sei volato via cazzo e noi qui come scemi. Dovremmo idealmente ritirare la tua maglia, la tua macchina da scrivere, il tuo computer, il tuo telefonino dalla squadra dei giornalisti sportivi italiani. Dovremmo fare in modo che la tua storia prosegua, che sia una via frequentata dai giovani, da chi ti ha solo letto e, sfortuna sua, non conosciuto. Una volta un direttore del Corriere dello Sport-Stadio, di fronte a un argomento spigoloso e scivoloso, mi chiese: “Secondo te cosa avrebbe fatto Sconcerti?”. Ecco, questo dovremmo chiederci nel dubbio: cosa farebbe Mario? Io lo so, Sconcerti farebbe la cosa che nessuno di noi riuscirà mai nemmeno a immaginare. Del resto, se Messi ha impiegato 15 anni per raggiungere Maradona, quanti ce ne vorranno, di anni, perché un altro giornalista raggiunga Sconcerti? Dai Mario, dimmi che questa t’è piaciuta.