Mario Sconcerti, la forza delle idee

Ci ha lasciato un fuoriclasse del giornalismo capace di rivoluzionare il mestiere tra scelte  radicali e grandi battaglie
Mario Sconcerti, la forza delle idee© ANSA
Alberto Polverosi
10 min

È stato tutto per noi di questo giornale. È stato il meglio che potevamo avere in quella generazione. È stato tanto, tantissimo per il giornalismo sportivo italiano. Per me è stato molto più di tutto questo e posso solo raccontarlo a modo mio, con l’occhio di un fratello più piccolo. 

Mario ha fatto la carriera che meritava e che voleva. Aveva cominciato a scrivere da ragazzino al Corriere dello Sport di Firenze, la sua città, quando il capo della redazione era Roberto Gamucci. Iniziò perché suo padre Adriano, manager di pugilato, conosceva il direttore Antonio Ghirelli, appassionato di boxe. «C’è mio figlio che ha una grande passione, vuole fare il giornalista». Partì così la corsa di quello splendido cavallo di razza. Mai nessuno ha avuto la forza delle opinioni di Mario, capace di litigare col mondo intero per difendere una sua idea. Erano i primi anni Settanta, da Ghirelli lo accompagnò un suo eterno amico, Franco Recanatesi, altra firma di quella stagione stupenda del giornale di piazza Indipendenza. Con la direzione di Gismondi arrivarono l’assunzione e i primi servizi da inviato. Calcio e ciclismo, il Tour e il Giro, Mario correva, scriveva e raccontava. La sua visione già all’epoca era nuova, stava spaccando un vecchio modo di fare questo mestiere. Fu assunto alla redazione di Milano, mentre il Corriere dello Sport stava crescendo fino a trasformarsi in scuola. Arrivarono Luigi Ferrajolo, Enrico Maida, Sergio Rizzo, Antonio Corbo, crescevano sotto la guida di Giuseppe Pistilli, Sergio Neri e Giorgio Tosatti. Mario ha fatto tutto in fretta, aveva una crescita frenetica, non poteva restare nello stesso posto per troppo tempo, non si accontentava, non si adagiava. Quello che a tanti di noi fa paura, il cambiamento, per lui era linfa vitale. 

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Un giorno mi ha raccontato come nacque uno dei reportage più belli della sua carriera, ma potrei dire di tutta la storia del giornalismo sportivo, il viaggio in auto insieme al commissario tecnico Fulvio Bernardini in giro per l’Italia a visitare le squadre di Serie A. «Ero giovane e affascinato da Ferruccio Valcareggi, che mi voleva bene, mi chiama Sconcertino. Quando Uccio lasciò la panchina della Nazionale, a Coverciano, casa mia, venne organizzata la prima conferenza stampa del suo successore, Bernardini appunto. E in quella conferenza feci delle domande quasi sgradevoli al nuovo ct. Che mi rispose anche troppo gentilmente. Alla fine, quando se n’erano andati quasi tutti, mi chiese: lei ha la patente? Certo che ho la patente. Allora si tenga pronto perché mi farà da autista in giro per i ritiri delle squadre italiane. Ogni sera mandavo al giornale il racconto di quei viaggi. Avevo 26 anni»

Nacque Repubblica, primo giornale generalista senza la redazione sportiva. Nemmeno usciva il lunedì. Ma quando Scalfari capì che non poteva farne a meno, chiamò proprio Sconcerti per affidargli il ruolo di responsabile dello sport. Anche in quel caso, fu Recanatesi a farlo scendere di due piani nel palazzo di Amodei, il Corriere dello Sport era al sesto, Repubblica al quarto. Portò dentro Beppe Smorto, Emanuela Audisio, fece scrivere su quelle colonne Gianni Brera, Gianni Mura, Mario Fossati, Gianni Clerici. Aveva lo stesso fiuto di Tosatti per la notizia e per i giornalisti.  

Ma non stava fermo. Non ce la faceva. Nella primavera dell’‘87 arrivò la chiamata dalla Gazzetta dello Sport e Mario accettò: vice direttore con Candido Cannavò alla guida del giornale. «Una volta Candido andò in ferie, accadeva di rado, ma quella volta staccò per qualche giorno. Il giornale lo facevo io e una sera decisi di aprire con una intervista. Cannavò mi chiamò per telefono e mi dette una delle lezioni di giornalismo che non ho più dimenticato: Caro Mario, quando apri il giornale con un’intervista, vuol dire che non hai idee e hai sbagliato il giornale». Tornò alla Repubblica e creò la redazione di Firenze. Il suo giornale e la sua casa. Invito a cena in un ristorante sulle rive dell’Arno, mi parlava dei suoi progetti e a un certo punto mi disse: «Non te la prendere, ma porto con me Rialti». Non solo non me la prendo, ma sono strafelice per lui (Sandro era collaboratore al Corriere dello Sport-Stadio) e ti dico che fai un’operazione perfetta. Purtroppo la storia finì lì, ma non la sua amicizia con Sandro. Appartenevano alla stessa stupenda e generosa generazione di giornalisti fiorentini, con Manuela Righini e Massimo Sandrelli. Quando Ciccio (Sandro Rialti era Ciccio anche per lui) se n’è andato, Mario ha sofferto tantissimo. Magari ora sono lì che si accapigliano sulla Fiorentina. Vorrei davvero che fosse così. 

Di nuovo via da Repubblica per andare a Genova a dirigere il Secolo XIX. Era il suo primo incarico non sportivo. Ci rimase tre anni, poi eccolo di nuovo da noi. Anno 1995, Sconcerti portò il giornale a straordinari livelli di vendita. Cinque stagioni da direttore, i suoi cazziatoni restano memorabili come quelli di Tosatti. A me ne ha fatti una quantità incredibile. Una volta perché nelle pagelle di una gara della Fiorentina avevo dato solo 6 a Cois, mediano forte, ma non un campione, solo che Mario ne era calcisticamente innamorato. «Non hai capito la sua partita». Scusa Mario, ma tu quanto gli avresti dato? «Almeno 6,5». Va bene Mario

Già, la Fiorentina. Di Sconcerti mi ricordo le fughe dal “Franchi” al 5' o al massimo al 10' del primo tempo. Anche quando era a Repubblica veniva a sedersi dalla nostra parte, fra me e Ciccio. E cominciava a tossire. Sempre. Una tosse secca, prima due o tre colpetti in rapida sequenza, poi sempre di più, fino a non resistere e scappare dallo stadio. Le prime volte mi preoccupavo, poi capii che quando vedeva quelle maglie viola non ce la faceva proprio. Memorabile il suo fondo, nella prima pagina di Stadio (che a Firenze quel giorno stabilì il record di vendita in città: 19.000 copie), la notte della vittoria della Coppa Italia nell’anno di Ranieri. Era così forte quell’amore per i viola che non riuscì a resistere alla chiamata di Vittorio Cecchi Gori nell’inverno del 2000. Lasciava il Corriere dello Sport-Stadio, un giornale che lui aveva rilanciato e a cui aveva dato l’anima, per correre al capezzale di una società ormai moribonda. Glielo dissi duramente, schiettamente, il giorno in cui me ne parlò nella sua stanza di piazza Indipendenza. «Mario, sei un pazzo. Vattene pure dal giornale, ma non andare alla Fiorentina, sta crollando tutto». Si è sempre fidato solo e soltanto di se stesso, non ha mai avuto un cedimento in vita sua, ma lì serviva un miracolo, la Fiorentina era sempre più vicina al fallimento. 

Fece di tutto per evitarlo. Se Roberto Mancini ha iniziato ad allenare così presto lo deve proprio a Mario, che lo volle sulla panchina viola dopo l’addio di Terim. Furono giorni roventi a Firenze. Prima uno scontro violento con Antognoni nella tv fiorentina di Cecchi Gori, poi la storia di Coverciano. Quel giorno nell’aula magna del centro tecnico Giorgio Tosatti, suo ex direttore e moderatore di un dibattito con gli allenatori di Serie A, chiese cosa ne pensassero di Mancini allenatore senza averne diritto, essendo in quel periodo vice di Eriksson alla Lazio. Sconcerti era lì, seduto in mezzo agli allenatori, si alzò in piedi e tuonò alla sua maniera: «Voi non vi potete permettere di parlare di una vicenda che non è ancora ufficiale». Due giganti che si scontravano, Mario e Tos, due colonne del vecchio Corriere dello Sport che si stimavano e che ora erano uno contro l’altro. Non furono momenti leggeri. Quanto alla storia con Antognoni, la pace è arrivata nel maggio scorso, durante la festa al teatro Puccini di Firenze per i 40 anni della squadra del secondo posto, quella dell’81-82. «Ho salutato Giancarlo, ci siamo dati la mano e ci siamo detti che era l’ora di fare la pace. È stato un momento molto bello per me», disse Mario quella sera. 

Dopo sei mesi, altra partenza, altra storia da raccontare col debutto in tv, a Sky. Quando Mourinho lo accusò di parlare in un certo modo perché era amico di Mancini (il predecessore di Mou sulla panchina nerazzurra), la risposta non si fece aspettare. Fu duro anche quella volta. Nel 2006 aveva ripreso a scrivere sul Corriere della Sera. Gliel’ho detto spesso: il vero Sconcerti è quello che scrive. Quando leggevi un suo pezzo, ci trovavi sempre una luce. Come nei suoi libri. Ne ha scritti tanti di calcio. Dopo 13 anni di Sky, il passaggio alla Rai per la Domenica Sportiva. In quest’ultimo periodo stava collaborando con Tmw Radio, con Radio Bruno, col sito calciomercato.com del suo amico Carlo Pallavicino e con Mediaset per Pressing. L’ho visto l’ultima volta la scorsa estate in una serata bellissima, organizzata dal suo amico e collega Massimo Sandrelli (erano insieme alla Fiorentina). Una serata in riva al mare, a Porto Santo Stefano, dove a Mario venne consegnato il premio “Enrico Basile”, era con sua moglie Rosalba. Parlammo tanto quella sera e il giorno dopo mi mandò un messaggio che porterò con me finché campo. 

Ci saranno tanti modi per ricordarlo, ma ne vorrei proporre uno anch’io. Mario aveva una competenza calcistica che lo ha reso unico, ecco, mi piacerebbe che Coverciano glielo riconoscesse assegnadogli, alla memoria, la qualifica di direttore tecnico. Sarebbe il terzo giornalista ad averla, dopo Vittorio Pozzo e Giorgio Tosatti. 


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