L’ ha persa, l’ha strapersa, sullo 0 a 3 ha addirittura sfiorato l’umiliazione personale al Bernabeu. Superata oltre un’ora di sottomissioni e imbarazzi diffusi, Ancelotti ha deciso che era giunto il momento di cambiare, e di cambiare radicalmente. Fuori l’insostituibile Kroos, che non l’ha presa bene, quindi Mendy, infine l’altro titolarissimo Casemiro. Modric ha subito premiato il coraggio con un esterno da Louvre che ha consentito a Rodrygo di riaprire la partita e cambiare il corso della storia: dopo i più ricchi del mondo, il Real di e con Benzemagic ha fatto fuori i campioni d’Europa.
Presentando la partita il Corriere della Sera aveva sottolineato “la normalità di Ancelotti nella coppa dei tanti guru”. Quello che voleva e doveva essere un complimento - di Carlo, nell’articolo, si esaltava la saggezza -, lo considero a tutti gli effetti un errore di valutazione, oltre che uno dei tanti luoghi comuni del calcio, peraltro facilmente smontabili. Gli allenatori li definiscono “etichette”, detestandole. Ancelotti è tutto fuorché normale. Il tecnico che sta per stabilire un primato senza precedenti, la vittoria del titolo nazionale nelle cinque top league europee (Premier, Bundesliga, Liga, serie A e Ligue 1) e che ha alzato per tre volte la Champions e per due l’Intercontinentale, deve essere ritenuto specialissimo, altro che normale.
Ancelotti è difficilmente superabile per competenza, concetti e conoscenze, gestione della squadra, dei caratteri e dei presidenti (ad eccezione di de Laurentiis, col quale ha comunque conservato un buon rapporto). Ancelotti è il calcio universale e sempre dentro il suo tempo, un professionista misurato nel mondo degli sparaballe: non racconta cazzate insomma, non complica uno sport nel quale sono decisivi qualità degli interpreti, rapporti e episodi, rispetta le caratteristiche dei suoi giocatori e studia quelle degli avversari.
Si aggiorna in continuazione, trascorre delle ore a preparare ogni fase della partita, e sfugge, anticipa, mette all’angolo, smussa qualche angolo di troppo. Soffre le pene dell’inferno, come ieri sera. Ancelotti è speciale perché quarant’anni di pallone e molti milioni sul conto corrente non l’hanno cambiato di una virgola: è ancora semplice e perbene e non ha perso il senso pratico. Tutt’altro. Pochi anni fa, temendo di restare fuori dal giro, accettò - spiazzando tutti, perfino Sacchi - la proposta del Napoli, si rimise in gioco, fece soffrire il Liverpool in Campions, ma per aver seguito con coerenza i propri principi fu sopraffatto dai rapporti con un paio di giocatori importanti e il presidente. Pochi giorni dopo l’esonero trovò una sponda all’Everton.
Con lui i Blues, condannati a un mercato bloccatissimo dalle sanzioni dell’Uefa, si presero belle soddisfazioni, con lui Richarlison e Calvert-Lewin ottennero numeri importanti; perso Ancelotti l’Everton è crollato. Ancelotti è stato speciale anche quando, quattro giorni dopo il no di Allegri a Florentino Perez (il 27 maggio scorso preferì il rientro alla Juve), disse «torno io» a José Angel e il direttore del Real lo prese in parola. Facendo il bene del club. Ancelotti è speciale perché devo ancora conoscere un suo ex giocatore o un collega che ne parli male e non ne sottolinei la schiettezza, la correttezza. Ed è speciale perché prima della gara d’andata a Stamford Bridge ha risposto così a un messaggio: «Vinciamo di sicuro, neanche un dubbio». Tre a uno per il Real.
Ancelotti è speciale perché è leggero ma anche profondo, ironico e autoironico: dopo la vittoria del Real a Vigo con suo figlio in panchina - lui era chiuso in casa a col covid, antipatica compagnia, ha scritto a un giornalista amico: «Davide ha più culo del padre». Per colpa del figlio l’hanno mandato via dal Bayern e dal Napoli: anche questa ho sentito ripetere più volte. E Carlo l’ha naturalmente portato tanto all’Everton quanto al Madrid, dandogli ancora più responsabilità e autonomia. Chi parte dalla terra, sale fino alla luna ed è capace di tornare alla terra per raggiungere nuovamente la luna non può essere bollato di normalità.
Il problema - per gli scribi, non per lui - è un altro: Carlo non sarà ricordato nell’albo dei grandi mister italici per storiche facezie, come il Paròn Rocco; per impietose frustate, come Gipo Viani; per eccessi di habla habla, come il Mago Herrera; per la Corea, come Mondino Fabbri; per raffinatezze dialettiche, come il Dottore Bernardini ; per una chinamartini, come il Filosofo Scopigno; per il latinorum, come il Vecio Bearzot; per aver sfidato Rivera, come il Colbacco Giagnoni. Privo di soprannomi, sarà ricordato per le vittorie e per una squillante anormalità.