Mi riuscirebbe facile parlare dei cinque punti in tre partite della Juve di Pirlo. O del punto in due dell’Inter, oltre che della prima crisi di fiducia della Lazio. Figuriamoci, poi, se il tema fosse il bellissimo Napoli di Gattuso che contro Gasperini ha azzeccato tutte le scelte. Preferisco tuttavia affrontare un argomento che mi sta più a cuore, in questo momento, e che credo possa interessare milioni di italiani: il diritto dei più giovani all’attività sportiva, che pongo sullo stesso piano di quello, fondamentale, allo studio.
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Ho visto il post di un padre che ha fotografato i figli di tredici e quindici anni, entrambi sportivi, sdraiati sul letto con il cellulare in mano: «è la loro condizione attuale», ha scritto. Di reclusi. Di inattivi, esterni al mondo. Il dirigente di una società lombarda che cura il settore giovanile mi ha raccontato che i 350 tesserati, dai sei ai sedici anni, sono usciti dal lockdown di primavera chi depresso, chi svuotato e chi in sovrappeso, in media di tre chili, con punte di dieci.
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Ma se i chili in più sono facilmente rimediabili, soprattutto a quella età, le nuove, pessime abitudini, le pigrizie indotte, potrebbero non esserlo. Lo sport ha un valore educativo accertato, aiuta i giovani a integrarsi, a socializzare e - se ben fatto - insegna loro il rispetto delle regole, talvolta sostituendosi alla famiglia. È scuola. Non a caso ci sono culture che considerano imprescindibile il collegamento tra le due funzioni.
Ieri, durante un appassionante confronto con Manuela Di Centa, Valentina Vezzali, Gianni Rivera e Massimiliano Rosolino, quest’ultimo ha definito lo sport «un vaccino naturale, un efficace antidepressivo». Ma non solo. È medicina, non per il covid: ma aiuta ad affrontarlo meglio. «Lo sport va a cercare la paura per dominarla», come spiegò De Coubertin, «la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla».
Spadafora e Speranza arrivati fin qui avranno esclamato all’unisono: «Retorica, trita retorica!». Convengo che gli argomenti usati siano virtuosi, dunque fastidiosi per i demagoghi; e ovvi, per chi è abituato a promettere benefici più vistosi (che il covid ha addirittura moltiplicato) senza tuttavia lasciarne traccia. M’è mancato il classico “mens sana in corpore sano”: ma non volevo essere offensivo. E allora dirò agli agnostici, agli indifferenti, ai sospettosi, a tutti i pinocchi d’Italia (stupenda la performance di Stefano Massini a “Piazzapulita”) che se sabato si è acceso qualche sorriso felicemente contagioso lo si deve a due affascinanti sciatrici vittoriose in nome dell’Italia, Bassino e Brignone, che si sono preparate adeguatamente a sostenere sfide mondiali, e a un vecchio frequentatore delle aree di rigore, Zlatan Ibrahimovic, che con lo sport ha curato la sua positività e, uscitone rafforzato, ha esibito la sua guarigione al mondo intero, incoraggiando gli spaventati, spesso vittime di scalmanati virologi e di politici bugiardi.
PS. Giusto due parole sulle italiane di Champions. Mi prendo ancora un paio di settimane prima di esprimere una valutazione sulle scelte di Pirlo: devo capire se rispondono all’esigenza, tutta sua, di spiazzarci con effetti speciali o se sono altri i motivi che lo spingono a complicarsi ulteriormente la vita. Le attenuanti non gli mancano: Ronaldo, Dybala e Alex Sandro sono il 50 per cento delle soluzioni della squadra. Sospendo anche il giudizio su Conte: l’ultima versione di Antonio mi piace al punto da indurmi a rimandarlo. Otto assenti non sono uno scherzo: resta inteso che Kolarov nei tre dietro è un azzardo e che Skriniar è ancora il miglior difensore a sua disposizione. Sulla Lazio hanno detto tutto Dalla Palma e Patania ieri e Polverosi oggi. Infine Gasperini: undici nazionali di rientro si pagano sempre, specie - poi - se l’avversario ha avuto tutto il tempo per preparare (splendidamente) la partita.