Stiamo girando l’Europa (da fermi) con su la maglietta “Italians do it worse”, gli italiani lo fanno peggio. Certamente peggio degli inglesi: secondo un’indiscrezione del Daily Mail, Norwich, Aston Villa e Bournemouth - nell’ordine ultimo, penultimo e terzultimo in Premier prima della sospensione - sarebbero stati minacciati di retrocessione d’ufficio dai top team nel caso in cui si fossero uniti ai frondisti (il fronte dei contrari alla ripartenza). «Molti club e campionati rischiano di sparire se non si torna a giocare», le parole come pietre pronunciate nei giorni scorsi da Gregory “Greg” Allison Clarke, presidente della Federcalcio inglese e vice della Fifa.
Decisamente peggio anche dei tedeschi: in Germania, una volta trovato l’accordo con le televisioni (passo decisivo), i club che hanno partecipato alla Champions (Bayern, Dortmund, Lipsia e Bayer) istituendo un fondo di solidarietà di 20 milioni hanno aiutato tre società in grosse difficoltà per metterle nella condizione di completare la stagione e evitare che il massimo campionato andasse in sofferenza: «Se non giochiamo, nei prossimi mesi l’intera Bundesliga sarà prosciugata. E allora il calcio tedesco non sarà più nella forma che conoscevamo», l’intervento di Hans Joachim Watzke, patron del Borussia Dortmund. Il 16 ricomincia l’avventura dello «sport di contatto» über alles. Perfino peggio degli spagnoli. Il presidente della Liga Tebas, infatti, ripete insistentemente che è necessario riprendere a giocare: «Ya emos pasado todos los test, y mañana empiezan a entrenar». La traduzione è elementare.
In Italia stiamo già giocando da due mesi, ma solo a farci i dispetti. Abbiamo due presidenti che non si arrendono neppure di fronte all’evidenza di un ministro accerchiato da tutte le forze politiche, e “sostituito” nella sostanza dal premier, e usano qualsiasi mezzo e mezzuccio per provare a condizionare politica e opinione pubblica: disarmanti i calciatori invitati a rilasciare dichiarazioni contro la ripresa della Serie A, una sorta di clamoroso autogol di categoria di chi sceglie di immolarsi.
Ma per fortuna che Conte c’è e ha capito il senso della battaglia all’ultimo sospiro (di Cts) di Federcalcio e Lega, del tutto simile - se non identica - a quella portata avanti da Football Association, Bundesliga e Liga. Quando un giorno, presto, si verrà a sapere la vera ragione per cui la Premier ha posticipato di una settimana l’inizio degli allenamenti - non ha niente a che vedere con protocolli insufficienti o altre misure di sicurezza e contenimento del contagio - forse qualcuno si rimangerà le parole di troppo.
Dice: perché voi del Corriere insistete tanto con ’sto calcio? Non è uno sport come gli altri? Basket, pallavolo, Formula 1, nuoto e insomma tutte le discipline professionistiche si sono fermate: perché solo la Serie A non dovrebbe farlo?
La risposta è contenuta nella domanda: secondo voi, se non fosse così importante, si renderebbe necessario l’intervento del Premier che per primi abbiamo invocato con una lettera aperta? Pensate forse che per fermare gli altri sport si sarebbe dovuto scomodare il Governo? Non vi dicono nulla 34 milioni di italiani interessati al calcio, 50mila lavoratori a rischio e 5 miliardi di fatturato?
Diciamo che in Italia esiste fin dai tempi dei romani, “la differenza”, che non è misurata in centimetri, come avevano equivocato i mitici pappagalli prima che scendessero in campo rivali meglio dotati; né in q.i. (quoziente intellettivo), come si dice dai tempi di Dante; né tantomeno in ricchezza, perduta da secoli. La vera differenza è la furberia che nella stagione dell’emergenza non frutta. Quando la vita si fa dura i furbi diventano teneri e i veri duri sono quelli che vogliono vivere. E preferiscono una partita di calcio a un luttuoso bollettino della protezione civile. Dacci oggi la nostra pena quotidiana e qualche calciatore asintomatico.