L'incontro che aspettavo

L'incontro che aspettavo
Ivan Zazzaroni
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«Ormai abbiamo un’età che non ci permette di avere delle nuove amicizie, per cui bisogna tenersi ben strette quelle vecchie» mi ha ripetuto per ben due volte Sinisa, l’ultima poco prima di salire sul taxi che l’avrebbe riportato a casa. Sono le uniche parole che rendo pubbliche del nostro incontro di ieri a Roma; io e lui da soli, un incontro che da oltre quattro mesi, precisamente dal 14 luglio, speravo di avere: il momento del chiarimento definitivo, non solo del come stai e tu?, un’ora di confidenze, l’intimità immediatamente ritrovata, nessuna zona opaca, tanti registri da tenere insieme, su tutti quello emotivo. Sinisa di nuovo sorridente e battutista, talmente innamorato della vita, dei secondi prim’ancora che dei minuti, da volerla assaporare fino in fondo e come mai in precedenza.

Quel maledetto giorno e la malattia, la voglia e la necessità di aggredirla, la fame di aria fresca, Arianna figura fondamentale e i figli, e gli amici, la chemio, le pillole, i medici, tutti straordinari, ma anche il Bologna, la città, la sua gente, Medel e il mercato, Dominguez e Walter, Ibra. Come se nulla fosse successo e invece tutto è successo. E tutto addosso a lui e alla sua famiglia; Sinisa di fronte a me come l’ultima volta che ci eravamo visti a Casteldebole. Era un’altra vita fa. Anche nel calcio dei ruoli e degli interessi spesso contrastanti, il calciatore o l’allenatore e il giornalista, il critico, possono nascere rapporti autentici, solidi, più robusti di un articolo sbagliato, di un atto di presunzione compiuto in buonafede.

Sinisa ha capito dal giorno dopo, è bastato un messaggio, un emoticon, le scuse non le ha mai pretese. Il vecchio amico è così che fa.


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