ROMA - Gervasoni racconta tutto. Il calciatore testimone nell'inchiesta del calcioscommesse rivela scottanti verita in un'intervista con Nadia Toffa nel programma "OpenSpace" in onda domani su Italia1. «Ho truccato una dozzina di partite dove ero io in campo, poi ho cercato di combinarne altre dove non giocavo», esordisce Gervasoni. «Dare un numero esatto dei calciatori che ho contattato per le combine è complicato perché c’è ancora un processo, ma più o meno sono riuscito a contattarne una sessantina. Su questi sessanta solo due hanno detto no, un italiano e uno straniero. Mi sono accorto che era più complicato convincere lo straniero a truccare la partita. Gli italiani si ponevano problemi all’inizio, poi quando avevano la mazzetta prima della gara, erano più facilitati».
CONTATTI CON «GLI ZINGARI» - L'ex calciatore spiega, inoltre, come è entrato in contatto con il cosiddetto "clan degli zingari": «Il primo contatto con il clan è stato come un corteggiamento, siamo andati a cena 4-5 volte, ci hanno fatto capire fondamentalmente quello che dovevamo fare. Loro scommettevano su piattaforme particolari, asiatiche, così da evitare il tracciamento e dove non veniva identificato il flusso anomalo di soldi, anche perché loro scommettevano solamente live, durante la partita». «La prima volta ci hanno dato 100mila euro da spartire. La prima partita combinata la proposi a un buon numero di giocatori, 6-o 7. La partita era Albinoleffe-Pisa, febbraio 2009. Il clan era molto organizzato, ogni 20-30 giorni mi cambiavano la sim del telefono che usavamo solamente per dirci “ci sono”, poi principalmente ci sentivamo su Skype. È durata fino alla prima ondata di arresti, nel maggio 2011».
«L'HO FATTO PER SOLDI» - «Perché mi sono venduto le partite? Per soldi. Non so dirti una cifra totale che ho guadagnato, facevo un lavoro in cui guadagnavo bene, anche 10-15mila euro al mese. Ho giocato un anno senza prendere lo stipendio, ma questa non è assolutamente una scusante. Loro davano anche a me solo, personalmente, anche 80mila euro». E racconta: «Non dormivo tranquillo, ma con un’adrenalina positiva, non sono ipocrita, sono pentito, ho sbagliato ma se l’ho fatto è perché fondamentalmente mi andava bene il fatto che in così breve tempo portavo a casa così tanti soldi. [...] Mi sono sentito una merda, sarei un ipocrita a dire il contrario, fingevo anche con i miei compagni perché a volte ho giocato anche contro la mia squadra».
COME FUNZIONA - Alla domanda sul come si fa a combinare una partita e quanti giocatori bisogna comprarsi, Gervasoni risponde: «La struttura portante di una squadra è fondamentale, ovviamente se si ha il portiere si parte avvantaggiati, poi se hai l’attaccante e un difensore è molto più facile».
DUBBI - «Adesso ho dubbi guardando le partite? Ho molti dubbi, adesso le guardo con altri occhi, sono molto malfidente. Me ne accorgo da degli atteggiamenti che percepisco guardando i volti dei giocatori o da alcuni atteggiamenti un po’ sopra le righe». E aggiunge: «Ho deciso di parlare per togliermi un peso non facile da tenere dentro e poi perché mi avevano beccato con le intercettazioni e avevo paura di fare il carcere. Se non avessero fatto le intercettazioni, starei giocando ancora, magari non in maniera propriamente pulita. Sono sincero, se non mi avessero beccato sarei andato avanti».
ATALANTA-PIACENZA - Carlo Gervasoni racconta, inoltre, i dettagli di un match in particolare, Atalanta-Piacenza dell’aprile 2010: «Fu la madre di tutte le partite anche perché scoprì appena prima di iniziare, che non ero l’unico a sapere della combine. Durante il giro di ricognizione del campo Doni mi chiese se era tutto ok e quel “tutto ok” capì subito che era riferito al fatto che si trattava della combine,anche perché quella partita era molto chiacchierata anche prima che si giocasse. In quell’occasione inizialmente dovevamo perdere con due gol di scarto e successivamente perdere con un over, quindi 3-0, 3-1 e via dicendo. La difficoltà nell’accomodarla era che loro, scommettendo live, nei primi 10 minuti non dovevamo prendere gol, perché nel caso ne avessimo subìto uno non dovevamo tenerne conto. Il problema di quella partita era che loro, anche essendo più forti, non riuscivano a segnare. Per fortuna un mio compagno, non coinvolto della combine, con un intervento grossolano procurò un rigore ma eravamo a più della mezz’ora e dovevamo subire un altro gol. Il fatto particolare è stato che io riferì di Doni al mio portiere, anche lui coinvolto, che mi disse di far tirare a Doni il rigore centrale. E io durante il riscaldamento dissi a Doni di tirarlo centrale nel caso avessero avuto un rigore a favore. Il problema era che dovevamo subire un altro gol. Ero terrorizzato che pareggiassimo, a tal punto che ho dovuto creare questo scontro di gioco che portò al rigore. Se non fosse stata una partita combinata non avreimai fatto un intervento del genere. Poi protestai con l’arbitro perché non potevi far capire ai compagni, all’allenatore che tu l’avessi fatto apposta. Era normale che si recitasse una parte. Quando poi si raggiunse il risultato, non contenti, subimmo anche il terzo gol, sempre con un errore mio che rivisto adesso è anche abbastanza imbarazzante. In questa partita, da parte nostra eravamo in tre: non voglio fare nomi perché non sono presenti qua, anche se i nomi sono scritti sulle carte. Dell’Atalanta non lo so, so di Doni perché è venuto prima della partita, degli altri non lo so».