Coppa: Io, l'artigiano del basket

Artefice del miracolo Priolo negli anni Novanta (due scudetti e la Coppa Campioni) il coach siciliano dopo il recente scudetto vinto a Malta, torna a casa ad allenare in Serie B la Stella Palermo "Ho portato la Trogylos dalla culla al tetto d'Europa, mi accompagna la mano di Dio". Ha sposato Bonfiglio sua ex giocatrice, hanno una bambina di 8 anni, lui ne ha 74 sogna di fare l'agricoltore, ma la pallacanestro è il motore della sua vita
Coppa: Io, l'artigiano del basket
Valeria Ancione
9 min

Settantaquattro anni e sentirsi un bambino. E’ nonno e padre di una bimba di otto anni e di due uomini, ormai, del primo matrimonio. Ha sposato una sua ex giocatrice, dopo una vita passata assieme, prima a fare della Trogylos il miracolo non solo di Priolo ma del basket femminile italiano, poi in giro tra Italia e mondo: Schio, Thailandia, Malta. Lui è Santino Coppa, l’artigiano del basket. Un altro professore, dopo Franco Scoglio nel calcio, che partendo dalla scuola ha inventato qualcosa di impensabile in un paese come Priolo, allora spettrale e velenoso per le sue ciminiere, i suoi fuochi sempre accesi di petrolio, e niente più. Ha creato vita, sogni, speranze, educando le bambine al basket, piantando il primo canestro fino a vincere due scudetti e una Coppa Campioni contro il CSKA Mosca nel ‘90. Il miracolo Priolo, appunto. Dal 1970, anno della prima pietra, o del primo canestro, ai successi degli anni Novanta fino alla fine del sogno. Santino Coppa è la metafora della Sicilia, mare e vulcano, calma e tempesta, neve e fuoco, è un fico d’india resistente, dolce e pungente. Accompagnato, come dice, dalla mano di Dio, vive con passione e autenticità. Anche ora a Palermo con la Stella in Serie B, dopo essere stato strappato a un silente e pericoloso tumore al rene, scoperto grazie all’incontro giusto (un urologo) durante un torneo di basket. La mano di Dio lo accompagna, la pallacanestro fa il resto.

Coppa, dov’era finito? «Ultimi tre anni a Malta. Avevo già allenato sull’isola, la Nazionale, e ora ho chiuso una stagione irripetibile alla Luxol, con lo scudetto vinto con ragazze di 16 e 17 anni! Malta per me è casa. E’ stata una scelta di vita soprattutto, perché ho una bambina di 8 anni e con mia moglie Susanna abbiamo pensato che fosse un’occasione per farla diventare bilingue e così è stato. Lì la qualità della vita è eccelsa».

LA COPPA PIU' BELLA. Susanna Bonfiglio, ex nazionale e pilastro del miracolo Priolo, tanto più giovane... «Ventiquattro anni. Dopo il mio divorzio è diventata il mio braccio destro. Abbiamo tirato avanti insieme per amore di Priolo. Lei giocava, era assistent-coach, video cordinator, nell’ultima fase vivevamo sempre assieme, tanti sacrifici, impegno ma senza riscontri, sono stati anni tribolati. Ci siamo consumati in quel progetto. Con dispiacere nel 2014 abbiamo chiuso l’avventura».

E ne avete cominciate un’altra, quella dell’amore... «E’ stato naturale. Io ho esitato tanto per la differenza di età. Ma lei è stata un martello peneumatico. Però abbiamo capito che stare assieme era quello che volevamo. Da nove anni siamo marito e moglie ed è arrivata Claudia, la coppa più bella che potessi vincere».

Destinata al basket o a rischio pallavolo? «La pallavolo non gliela abbiamo fatta nemmeno avvicinare. E’ molto piccola ma ha un potenziale enorme. Dopotutto è figlia di Susanna».

Con Susanna fu un colpo di fulmine tra giocatrice e allenatore? «Lei è di Savona, venne a 14 anni a Priolo per un camp estivo, dopo cinque giorni chiamò la madre e le disse “portami tutto, io non torno più”. E così è stato».

Una delle migliori cestiste che l’Italia ha avuto. «E’ stata la prima italiana a giocare nella WNBA, ha fatto l’Olimpiade di Atlanta, vinto l’argento agli Europei di Brno. Lei e Sofia Vinci, priolese, sono state le punte di diamante di Priolo».

"SONO UN ARTIGIANO DEL BASKET". E lei è stato la punta di diamante del basket femminile? «Io sono un artigiano del basket. L’ho conosciuto tardi, avevo 19 anni, troppi per mettermi a giocare. Sono entrato in quel mondo per caso, per sostituire il gm Di Martino. Poi mio padre andò in pensione e tornò nella sua città, Priolo. Ho seguito la mia famiglia. Di Ragusa mi mancava tutto, facevo avanti e indietro. A Priolo in quei tempi si respirava veleno. Ora è un paese vivibile».

E quindi ha inventato la Trogylos, perché femminile? «Il basket maschile richiede molti soldi. Insegnavo educazione fisica a scuola e mi portavo le bambine in palestra. Erano più vivaci e disponibili dei bambini. Così è nato il fenomeno Priolo. Dalla culla al tetto d’Europa in un posto dove non esisteva nemmeno il canestro. L’ho portato io...».

Come ha imparato ad allenare? «Sono cresciuto senza maestri. Ho un istinto animalesco. Ora ci sono psicologici, pedagoghi, ma insegnanti si nasce. E’ una dote innata la mia. Vivo storie di vite non solo di sport. Poi mi sono sempre aggiornato e preparato».

NON SARA' UN'AVVENTURA, MA UN'IMPRESA. E questa alla Stella Palermo è un’altra avventura? «Non ho mai inteso il basket come lavoro. Non lo faccio per soldi. Mi rimetto in pista per amicizia e stima nei confronti di queste persone che con umiltà e timore sono venuti a chiedermi una mano. Li avevo conosciuti ai tempi del Verga Palermo, che ho riportato in Serie A1. Questo loro pudore mi ha stimolato a dire di sì».

Con quale mission? «Non sono in grado di promettermi mezzi. Sono dopolavoristi,  “volontari” che meritano rispetto, che sperano e puntano su di me. A Palermo le potenzialità ci sono. Con la mia professionalità e la mia esperienza si possono creare i presupposti. Il mio entusiasmo è sempre al massimo. E’ un’impresa piena di incognite, ma voglio portarla in A1, come ho fatto col Verga».

Settantaquattro anni e non sentirli... «Se avessi realmente 74 anni non sarei qui. Sono un bambino di testa e di salute, per stimoli e interessi. Ho una vita speciale. Sento su di me la mano di Dio».

LA CASELLA VUOTA: LA NAZIONALE. Dopo la fine di Priolo andò a Schio, con soddisfazione? «Vincemmo subito la Coppa Italia. Fu anche una bella esperienza umana, ma non ero libero come a Priolo. E poi mi mancava il sole. Sono stato io a voler andare via».

Anche Susanna lasciò Schio, per seguirla? «Le fecero ponti d’oro affinché restasse. Ma era innamorata della Sicilia. Se fosse rimasta sarebbe cambiata la mia storia e anche la sua».

E da Malta perché siete venuti via? «Per la famiglia e perché Claudia stava diventando troppo inglese - ride ndr - Comunque sono sempe felice di ogni mia scelta».

Al suo curriculum manca la panchina della Nazionale. «Una cosa bella che non mi è capitata, nonostante numeri e risultati. Oggi non ci sono più i presupposti».

BASKET, UNA IRRIDUCIBILE SOFFERENZA. Perché il basket femminile non decolla? Ce l’ha fatta anche il calcio! «Bisognerebbe togliere pali e paletti. Dovrebbe essere venduto in un certo modo. In America è esploso quando la NBA ha creato la WNBA e il campionato si gioca d’estate quando tutti gli sport maschili sono fermi. Ha riempito un vuoto e ottenuto risultati, seguito e guadagni».

La Virtus ci ha provato e poi... «Ha investito tantissimo, pure troppo. Ma nella difficoltà generale ha dovuto tagliare ed è finito l’esperimento».

A parte Zandalasini non emergono ragazze rappresentative. «Puntare tutto su una è un errore. Divinizzarla, viziarla. Nelle mie squadre non sono mai esistite primedonne. Anche io mi considero nessuno. Non esiste il salvatore della patria. La squadra prima di tutto».

Cosa invidia alla pallavolo? «Tutto. Sanno vendere il prodotto, noi no».

Il canestro più basso garantirebbe più spettacolo? «No. Non è la schiacciata che fa lo spettacolo».

COPPA E LE DONNE. In panchina urlava, sbraitava, le sgridava eppure le sue donne l’amavano, perché? «C’era passione. Le donne apprezzano la verità. Io non mistifico, sono vero allo stato puro. Ho avuto il privilegio di allenare le più forti. Ho stabilito rapporti umani profondi, di amore, rispetto e complicità».

Il 25 novembre è stato il giorno contro la violenza sulle donne, lei che ha lavorato con le donne, e di donne è sempre circondato, cosa si sente di dire? «Ho conosciuto profondamente le donne. Sono le mie migliori amiche. Amo la donna in quanto donna. Ho vissuto in simbiosi con amicizia, stima, rispetto, in una parola amore. La violenza contro la donna è inconcepibile».

Uno contro uno tra lei e Susanna: chi vince? «Lei mi uccide. Mi umilia. E’ una che ha giocato ad altissimi livelli con la protesi al ginocchio. Ha i requisiti per giocare in carrozzina, ci è andata vicinissima, poi è rimasta incinta. Ma un giorno chissà».

IERI, OGGI, DOMANI, SICILIA. Il basket le ha permesso di vivere Ragusa, Priolo, Catania, Palermo, la sua terra. Com'è la sua Sicilia? «Unica. Chi viene ritorna. Non sappiamo valorizzarla. Abbiamo avuto tutto però muoriamo di fame».

Le piace vivere a Palermo? «Sì, soprattutto mi piace vivere a Mondello, ha un fascino straordinario d’inverno».

Santino Coppa, cosa farà da grande? «Nel mio rustico in campagna ho ulivi e carrubbi. Per ora faccio giardinaggio, ma un giorno farò l’agricoltore».

   

   


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