Mattia Olivieri: "Tifare Inter e la Nazionale libera anche il mio canto"

Il baritono, di Maranello, appassionato di calcio e Ferrari, in questi giorni al centro dell’attenzione artistica per il Barbiere di Siviglia all’Arena di Verona: "Con la rete di Vecino al Tottenham ho sentitò il boato più forte della mia vita, ho dovuto contenermi al gol di Thuram contro il Milan per non perdere la voce. Scherzavamo dopo le recite con Giorgio Squinzi su Sassuolo, opera e derby, lui era milanista. I duetti social di Brozovic e Barella mi ricordano quelli di Leporello e Don Giovanni"
Mattia Olivieri: "Tifare Inter e la Nazionale libera anche il mio canto"
Bruno Bartolozzi
9 min

Mattia Olivieri, 40 anni, baritono, Figaro nel Barbiere di Siviglia all’Arena di Verona nelle rappresentazioni del 21 e 27 giugno. E una grande passione per lo sport. Dal tifo per la Ferrari e per l’Inter, ovviamente a quello per una Nazionale “interista”, fino alla pratica sportiva, per tenere il passo con le produzioni artistiche che ormai impongono una presenza scenica e anche abilità di atleta.
"Non posso dimenticare recentemente un Don Giovanni (alla Deutsche Oper a Berlino, regista Roland Schwab e direttore Andrea Sanguineti) in cui, facevo la parte di Leporello, durante i recitativi, con Don Giovanni, dovevo correre e effettuare una serie di push-up che mi hanno messo a dura prova. Alla fine di ogni rappresentazione ero sudato e provato come dopo una seduta di allenamento. Divertente, innovativo, ma che fatica".

E’ essenziale tenersi in buona condizione anche per il suo mestiere.
"Sì, andare in palestra, fa parte dello stile di vita legato al lavoro. Però faccio più cardio che lavori di forza. La forza non va troppo bene per il canto. Acquisisci maggiore rigidità. Collo, spalle, sono soggetti all’aumento di volume, mentre si dovrebbe cercare flessibilità. Poi a volte mi preparo anche in relazione alle produzioni. Se devo muovermi molto in scena, devo lavorare e allenare queste caratteristiche, come appunto nel caso del Don Giovanni berlinese. Ho dovuto fare dieci giorni di palestra".

Figaro è molto dinamico.
"Sì, deve essere un atleta, non c’è solo da studiare ciò che si canta, il corpo ha una parte fondamentale. Anche nel Don Pasquale di Donizetti, per la regia di Davide Livermore si impongono ritmi alti, specie nel ruolo di Malatesta che ho interpretato due volte, quest’anno e nel 2018 ".



Ci parli della sua passione sportiva.
"Prima di tutto la Ferrari, una malattia di famiglia. Sono nato a Sassuolo perché è l’ospedale più vicino alla mia città che è Maranello. La pista di Fiorano, qualche visita sporadica, i Gran Premi, le prove , vissuti tutti insieme come una tradizione antica. Poi la passione per quella macchina. Mio padre, Pietro, è meccanico, riuscì ad acquisire una Ferrari dismessa e la rimise in piedi. Fu un’emozione vederla rinascere. E poi i week end passati a casa in montagna davanti alla tivvù. La rivalità fra Michael Schumacher e Mika Häkkinen, le visite a Imola. Insomma per me quel pezzo di automobilismo è fuso con la mia crescita e la mia adolescenza".

Poi c’è la passione per il calcio.
"Io sono tifoso dell’Inter. Lo sono sempre stato, anche se i miei amici e le persone con cui sono cresciuto tifano Modena. C’è stata l’epopea del Sassuolo, la cui retrocessione mi ha colpito e insieme alla conoscenza con la famiglia Squinzi. Giorgio Squinzi era un grande appassionato di musica".

Milanista, però.
"Sì, vero. E ricordo dopo le recite le discussioni calcistiche, scherzavamo su queste diverse nostre posizioni. Ma il presidente Squinzi era un grande appassionato di sport e musica. Nel 2015 facemmo alla Malpensa L’Elisir d’Amore di Donizetti. Fu una sorta di flash mob in coincidenza con tutte le attività dell’Expo. In varie parti dell’aeroporto c’era tutta la Scala impegnata, una grande sorpresa per i viaggiatori. Giorgio Squinzi era lì con noi. E mi ricordo nella cavatina “Quanto è bella, quanto è cara” di Nemorino, era seduto con noi in un ristorante e poi alla fine, da un’altra parte, lo abbiamo visto di nuovo comparire. Era un grande amante dell’opera, sostenitore della Scala. Come la figlia che continua anche ora. Ho appunto incontrato Veronica Squinzi dopo la recita dei Pagliacci alla Scala, e abbiamo parlato di musica e Sassuolo, confidava che la squadra si potesse ancora salvare. Poi purtroppo è andata come è andata. Speriamo subito in una promozione rapida e un ritorno in A".



Lei va spesso allo stadio...
"Quando posso, sempre. A Milano se non ho prove vado a vedere la partita perché mi piace l’atmosfera. Il tempo vola allo stadio, mentre non è così in televisione. San Siro mi piace molto, ma anche quando mi trovo nei vari teatri d’Europa non perodo l’occasione di correre a vedere una partita. Sono stato allo stadio del Chelsea, del Paris Saint Germain, ho visto il Real Madrid al Bernabeu, il Real nel nuovo impianto al Wanda Metropolitano. San Siro ha il suo fascino e la sua storia, ma ormai i nostri stadi sono stati superati da quelli all’estero. Sarà una questione politica, vi saranno mille problemi tecnici per opere gigantesche, ma la differenza è evidente. Ci siamo forse beati dei nostri begli anni e ci siamo fermati qui".

La passione per l’Inter nasce da bambino?
"Si accese dopo che vidi a San Siro una partita, Inter-Lazio. Da quel momento è nato qualcosa in me. E da quel giorno ne ho viste tantissime. Le emozioni potenti sono stati tante. Inter-Tottenham al 94' con gol di Vecino, una rete che fece esplodere San Siro nel boato più grande che io ricordi di aver sentito, per finire con il derby dello scudetto che ho visto e ho assaporato a San Siro, in tutta l’intensità, in casa del Milan".

Con successiva festa in piazza.
"Esatto, una gioia molto molto intensa. Essere allo stadio è proprio liberatorio. Gridare per un gol dell’Inter ancora di più".

E gridare non le rovina la voce?
"Infatti, il giorno dopo il derby dello scudetto avevo una recita di Pagliacci alla Scala e mi sono ricordato che sarebbe stato meglio controllarmi, specie dopo il 2-0 di Thuram. Ho cercato di salvare il salvabile".

Il calcio e l’arte, il calcio è capacità espressiva...
"Certo, in entrambi i casi c’è l’estro di chi ha qualcosa in più che permette alla gente di gustare di un gesto atletico o vocale straordinario. Un colpo di Vinicius o di Mbappè sono gesti artistici che lasciano ammirati".



Il baritono interpreta anche ruoli di cattivo e nel calcio ci sono cattivi per eccellenza accostabili ai grandi personaggi del melodramma... Giochiamo a fare qualche esempio, Ibra chi potrebbe essere?
"Ibrahimovic in effetti non le manda a dire e io sono un suo fan. Però potrebbe essere più un Conte di Luna del Trovatore, un cattivo che serve dei valori piuttosto che uno Scarpia della Tosca, tanto per fare esempi conosciuti dal grande pubblico".

Esempi meno drammatici?
"Brozovic e Barella, per esempio, anche vedendo i video che venivano rilanciati dalla società, mi fanno venire in mente Leporello e Don Giovanni che insieme facevano scattare anche la scintilla della comincità. E loro due mi rimandavano a questi meccanismi che si trovano nell’opera".

Allenatori e grandi interpreti musicali, come direttori d’orchestra alla Daniele Gatti, oltretutto grande tifoso dell’Inter?
"Il maestro Gatti può essere paragonato a Mourinho. E’ uno che il triplete nella sua carriera lo ha fatto, eccome. E penso che, da tifoso interista, a lui farebbe piacere questo paragone. Spero di poterci presto lavorare insieme, finora non è mai successo. Sapremmo di cosa parlare oltre la musica".

Cosa rappresenta per lei Mourinho, le è dispiaciuto vederlo in Italia alla Roma?
"Mourinho, a parte alla Juve, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Quando era all’Inter ha sempre difeso la squadra e l’ha portata al massimo. Non ricordo una sua frase in cui non avesse difeso il gruppo. Si è sempre preso le sue responsabilità. Quando è stato ingaggiato dalla Roma sono stato felice per lui".

L’Arena di Verona, dove si sta esibendo è un posto speciale.
"E’ un luogo davvero magico, l’emozione che si prova quando si entra in scena per cantare è fortissima. Vedi quattordicimila persone davanti a te, non accade ovunque. Al massimo in u teatro possono essere quattro mila, cinquemila spettatori. Questa deve essere la sensazione che prova un calciatore di fronte a certe platee e noi cantanti proviamo a reinterpretare ciò che ci colpisce e trasmetterlo nella nostra arte".


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