di Valeria Ancione
Ma... dove sono? Non vedo niente con queste strane nuvole, così basse, così pannose. Che faccio, mi infilo nelle nuvole? E se spunta lui e mi salta addosso? Ieri brandiva quel coltello e ho pensato ora mi ammazza, ma figurati se mi ammazza. Mi ama eh, mi ama da morire, dice, e gli credo, anche se questo amore è diventato terrore e io adesso temo tutto, a volte anche i miei pensieri, come se si possano vedere mentre li faccio. Mi spavento anche a muovermi o parlare nel sonno, perché poi mi chiede furioso che sogno stessi facendo e se non me lo ricordo son botte; povero amore pensa che gli nasconda i sogni perché, si sa, i sogni dicono la verità. Ma io davvero non li ricordo, allora me li invento per tenerlo buono, cerco di sfamarlo come si fa con le bestie, lo distraggo, certe volte mi riesce altre no e si arrabbia il doppio perché mi prendo gioco di lui. Dice. Oddio, se non torno subito a casa sono guai. Devo chiedere aiuto. Mi infilo nelle nuvole e busso a quella porta, peggio di come andrà con lui, ora non può andare.
«Chi suona la campana?» dice una voce roca.
«Io», rispondo timorosa.
«Non aspettiamo nessuno a questa porta».
«Che porta è questa porta?»
«La porta della stanza n. 55. Per ora».
«Per ora?»
«Fino a quando non si presenta un’altra di voi».
«Voi chi? Non capisco».
«C’è poco da capire, guarda come sei ridotta».
«Vero, sono tutta sporca di rosso e non so perché. Forse stavo dipingendo o pitturando».
«Come no! Stavi facendo una parete rosso sangue».
«È sangue?»
«Sangue, sì. Sei stata uccisa, anzi massacrata».
«Macché? Ci deve essere un errore», dico facendo un balzo indietro e intanto certe immagini mi stordiscono. Lui, il coltello, io che chiedo perdono mettendo le mani davanti per schermarmi il viso dai colpi. Ahi, quasi posso sentire il dolore. No, non è dolore è stupore: come può farmi questo?
«Come ti chiami, te lo ricordi?»
«Certo, ti pare... ». Prendo tempo
«Dunque?». Faccio fatica in realtà a ricordare chi ero prima di lui e chi sono diventata con lui. Mi torna in mente invece di ieri: mi strattonava, mi tirava per i capelli, mi diceva puttana, troia. Ma che ho fatto? Gli urlavo e piangevo, parandomi dalla lama. Ahi che dolore, no no volevo dire che stupore: mi stava ammazzando davvero.
«Come va a finire?» domando spaventata.
«Di solito male. E quando arrivate qui non ricordate più niente, nemmeno il nome».
«Porto il nome di tutte. Sono l’ultima, sono la prossima, io non mi chiamo più. Dimmi, piuttosto, cos’è la porta n. 55?»
«La porta della stanza delle donne sperdute. Uccise per mano di un uomo. Uccise da amori fasulli».
«Esiste l’amore falso?» chiedo.
«Esiste l’amore?»
«Lui mi ama».
«Infatti ti ha ucciso».
«Nooo, non è vero - grido - Lui mi ama, mi adora, mi venera. Certo, è un po’ geloso. Certo, non mi fa uscire con le amiche perché mi portano sulla cattiva strada. Certo, anche la mia famiglia è pericolosa e quindi mi ha allontanato. Certo, dice che è inutile che io lavori, e ha ragione, chi si occuperebbe della casa? E poi a me piace prendermi cura di lui, cucinare e stirare per lui».
«Lui mi ama, mi adora, mi venera – mi fa il verso – e quando, prima o dopo che ti picchia? Prima o dopo che ti convince che non vali niente? Povera illusa. Ma è proprio perché vali più di lui che ti odia. Dimmi una cosa, quando ti vuole ti piglia o ti chiede il permesso? E tu? Quando lo vuoi lo pigli allo stesso modo?»
«Beh, si sa, per gli uomini è diverso. E’ un bisogno fisico, fisiologico. Sono animali no? Ci sta che mi... che mi... che mi...»
«Che ti monti come una bestia, vorresti dire? Senza nemmeno i preliminari...»
«Oh per carità, i preliminari, che romanticheria inutile dice lui. Me li sono dimenticati e comunque se facessi qualcosa di mia iniziativa penserebbe che l’ho fatta con qualcun altro. Preferisco fare quello che desidera lui, come e quando vuole lui».
«Ah certo, il sesso come sacrificio. Brava!»
«E mamma mia però! Tu che ne sai, neanche ho capito se sei uomo o donna, chi sei?».
«Sono Angel, il mio genere è stato cancellato dalla violenza. E ora sono qui ad aprire la porta a donne come te, che siete come ero io, che ho amato, accudito, annullato me stessa e mi sono ritrovata pestata, soffocata e in ultimo fatta a pezzi».
«Sei un angelo! Sono davvero morta... sono in paradiso».
«Ancora con queste favole? Intanto casomai sono un’angela, ma non ho ali e il paradiso non so se esiste, di sicuro esiste l’inferno ed è quello che avete vissuto voi della stanza n. 55. Vessate, mortificate, umiliate, maltrattate, private di autonomia e libertà. La libertà di essere donne. E infine massacrate per mano di uomini che si credono padroni, che si fingono pazzi per portare a termine i loro progetti di distruzione. A volte si suicidano pure, e io mi chiedo perché non facciano solo quello!»
«E adesso?» piagnucolo.
«Adesso ci affacciamo alla finestra e ci godiamo lo spettacolo di questo giorno dedicato: c’è la marcia contro la violenza sulle donne, ogni tipo di violenza non solo fisica, anche quella psicologica. Poi ci guardiamo le partite di calcio, perché oggi scende in campo il fiocchetto rosso e i visi pitturati di rosso, come il tuo che però è macchiato di sangue. E aspettiamo insieme una legge che cancelli la differenza di genere, data solo da una differenza fisica che permette agli uomini di sopraffarci, spaventarci, violarci e annullarci. E infine speriamo che ci passi il senso di colpa, sì quello della mela per capirsi: alla donna è stata affibbiata l’incapacità di resistere alle tentazioni, con relativa colpa del peccato originale e non solo ma, pure, la donna è diventata oggetto, proprio oggetto, di incontenibile tentazione. Tentata e tentatrice! Vedi tu che disastro per una mela. Ma essere donna non è né una colpa né una tentazione, che diamine!»
«Non cambierà niente vero?»
«A ogni massacro si fa un piccolo passo. Poi si ferma tutto, fino al prossimo massacro, fino alla prossima giornata contro la violenza sulle donne».
«Cosa possiamo fare?»
«Non confondere l’amore col dovere. Non accettare le mortificazioni. Non giustificare. Denunciare. Restare uniti, uomini e donne, perché non è un affare femminile, anzi anzi, è il contrario e riguarda soprattutto il mondo maschile. Educare gli uomini al rispetto, alla gestione delle emozioni e dei sentimenti, alla ragione. Ecco, educare forse ci compete, siamo responsabili: mettiamo al mondo e cresciamo noi certi uomini che odiano le donne».
«L’essere umano è fatto per odiare», ammetto sgomenta.
«Già. Amore infatti è una parola abusata e poco concreta. L’odio invece...»
«Quanto pessimismo però».
«Ne vedo troppe, cara mia, ma non mi arrendo», dice convinta Angel.
«Sono d’accordo e non dobbiamo distrarci e aspettare la prossima vittima».
«Lo diciamo ogni volta».
«E siamo sempre punto e a capo. Io non posso fare più niente ormai, sono morta».
«Nessuna morte deve essere vana. Svegliati, donna, e sveglia tutti e tutte da questo orribile incubo».
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I numeri: nel 2023 sono state uccise 107 donne, 87 in ambito familiare affettivo, 55 dal partner o ex partner (dati del Viminale).
85 donne al giorno sono state vittime di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking (il numero delle vittime femminili è 4 volte superiore a quello maschile).
Il femminicidio consiste nel “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima” (Accademia della Crusca).
Il 1522 è il numero antiviolenza e antistalking di un servizio telefonico pubblico, gratis e sempre attivo.