Mantenere le distanze sociali, igienizzare spesso le mani e indossare la mascherina. Sono queste le tre regole principali alle quali da oltre un anno ci si è dovuti abituare per cercare di combattere il Coronavirus. Ma se fossero proprio i dispositivi di sicurezza a non rispettare gli standard? Secondo alcuni studi una mascherina su dieci che arriva in Italia, tra chirurgiche, ffp2 o ffp3 non è originale, e come se non bastasse non supera i test di filtraggio. Inoltre il 62% delle pratiche per commercializzare le mascherine (chirurgiche) non riceve la validazione da parte dell'Istituto superiore di sanità. Un vero e proprio patatrac insomma. Alla fine il materiale analizzato nei laboratori diretti da Alessandro Proposito che non supera i controlli è circa il 10%. Una percentuale comunque indicativa, dato che le dogane lavorano su campioni di merce e non sarebbe possibile analizzare nel dettaglio tutti i lotti.
I controlli sulle mascherine. "Il rischio 0 non esiste"
Isabella Mori, responsabile del servizio di tutela di Cittadinanzattiva, spiega che "occorre stare attenti. Per quanti controlli si possano realizzare il rischio 0 non esiste e purtroppo migliaia di mascherine che non rispettano la legge entrano comunque nel mercato. Occorre che i consumatori siano avveduti. Ad esempio verifichino sempre la presenza del marchio Ce". In generale, aggiunge Mori, "il fatto che purtroppo sono presenti mascherine false non deve scoraggiarne l'impiego". Attenzione dunque, perché la truffa è dietro l'angolo. In Italia, da quando è esplosa la pandemia da Covid-19 sono state sdoganate quasi 4 miliardi e seicento milioni di mascherine, di cui 3 miliardi e 600 milioni di chirurgiche, 600 milioni tra ffp2 e ffp3 e il restante di cosiddette generiche. Il materiale, intanto, deve superare l'"esame documentale", ovvero i certificati che accompagnano i prodotti devono essere autentici e corrispondere alla merce introdotta. Gli uffici diretti da Davide Miggiano, dirigente su Civitavecchia e Fiumicino, due delle principali porte d'ingresso del Paese, seguono inoltre quelle mascherine che in Italia sono state sdoganate in deroga. Di fatto non tutti i presidi vengono accompagnati all'ingresso nel nostro Paese dalle certificazioni. La validazione in deroga, adottata per snellire l'iter burocratico, permette l' introduzione nel territorio nazionale senza la vendita, salvo poi ricevere l'autorizzazione definitiva da parte di Iss e Inail. Ma è qui che arriva la sorpresa, perché il 62% delle pratiche lavorate dall'Iss ricevono un secco no. A questo punto le dogane si attivano per verificare che l'importatore le commercializzi come generiche (quindi con scarsissimo potere filtrante, almeno per quanto riguarda i virus) e non le "spacci" come chirurgiche, ffp2 o ffp3.
Il business delle mascherine
Quello delle mascherine, inutile negarlo, è diventato un vero e proprio business. E in quanto tale la "fregatura" è dietro l'angolo e non mancano gli speculatori. L'Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), già il 20 marzo dell'anno scorso aveva previsto quando potesse accadere: "Prevenire l' ingresso di prodotti contraffatti in Europa è fondamentale per proteggere la nostra salute e lottare contro il virus". Indossarla rimane fondamentale, ma occhio e "tatto" alla mascherina.