Addio Maestro Camilleri

Coinvolgeva ed educava con i suoi romanzi. Passione pura. E in questo assomigliava a Enzo Ferrari
Addio Maestro Camilleri© ANSA
di Italo Cucci
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Lo conoscevo bene, Andrea Camilleri, come milioni di italiani. Non l’ho conosciuto personalmente e m’è dispiaciuto: m’ero fatto l’idea - e me la confermo - che somigliasse a Enzo Ferrari. Non per il mito acquisito con le opere e gli anni - entrambi nonagenari - ma per quel loro tratto fra paterno e luciferino che attraeva, coinvolgeva, indirizzava, educava, non sempre con immediato consenso, perché - fatte salve le peculiari virtù professionali - trasmettevano a piacere, vuoi chi fosse l’interlocutore, simpatia o antipatia. Sempre passione, comunque. Più che rispetto. Senza una precisa vocazione politica, sapevano anche dividere, spenta la trasmissione tv o finita la corsa, esprimendo pensieri e parole di diverso segno. Enzo era stato nella combriccola dei futuristi, Andrea il più audace e intelligente e coerente dei progressisti. Visti da destra o da sinistra, due grandi italiani.

Ho conosciuto Camilleri scrittore prima del boom di Montalbano: mi ha avvicinato alle sue pagine “Il birraio di Preston”, l’efficacia di Sellerio mi ha fatto raccogliere gran parte dei suoi romanzi e racconti, affrontati, letti e goduti in ritardo - come il buon vino - rispetto all’uscita, proprio per evitare la “lettura di moda” che spesso mortifica - non gratifica - anche i grandi scrittori (ne soffrirono fra gli altri Scott Fitzgerald, John Steinbeck e Ernest Hemingway, i miei idoli). A differenza di tanti maestri (e amici) di penna, diventò padrone del mezzo televisivo, una vita in Rai quand’era la Rai, per lui comunque sempre presente (quella di via Arsenale 21 Torino) per via di una straordinaria e azzeccata creatura poliziesca, il Commissario Montalbano, che sul teleschermo ha stracciato Maigret di George Simenon e Nero Wolf di Rex Stout imponendo a milioni di telespettatori Luca Zingaretti più di quanto poterono ottenere dal magico elettrodomestico Gino Cervi e Tino Buazzelli. E non parlo a sproposito: come ho competenza per riproporre le imprese di pedatori antichi e nuovi, così so in abbondanza di quei miti teatrali che - altri tempi, meno folla - ho conosciuto personalmente, Cervi a teatro, al Duse, Buazzelli al ristorante, da Rodrigo. A Bologna, obviously. E tuttavia Camilleri ha avuto rispetto a loro altre chanche, perché la televisione era sua, la indossava come come un abito su misura, la manipolava secondo uzzolo. Come nella sua “Conversazione con Tiresia” che ci è entrata fin nelle viscere, ci ha incantato, snervato, rasserenato, commosso fino alle lacrime. Dico “ci” - noi - non io solo ma una famiglia assorta nell’ascoltarlo, fissa spesso nei suoi occhi perduti. Come mi capitò con Borges, tanto tempo fa.

Torno al mio dovere - “Camilleri e lo sport”, mi è stato chiesto - senza dovermi inventare nulla, quando spesso si cerca di far indossare una maglietta, una scarpa, o di mettere un attrezzo in mano a una celebrità, perché Andrea Camilleri ha amato davvero lo sport: l’Empedoclina Calcio di papà, la bici di dolorose fughe, quell’intervento sulla Nazionale collante sociale degli italici confusionari (e almeno in questo Ferrari sarebbe stato con lui); mi dice un suo amico che sulla sua scrivania il Maestro ha sempre ostentato alcuni trofei di nuoto, evidente passione giovanile. A Montalbano non ha mai offerto agganci sportivi, ma se ripenso al nuoto e vedo il Commissario immergersi nel mare di Punta Secca, fra Vigata e Marinella, con quelle spalle tornite che s’alternano a fendere le onde, ecco che m’accomiato dall’Autore e dal Protagonista Andrea Camilleri che sempre giovane - eterno - s’allontana dalla riva e va verso il tramonto per un naturale accorato lieto fine.


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