Schumi-Ferrari, roba da impazzire

Il pilota tedesco ha fatto la storia della Formula 1: era il periodo di Montezemolo e Todt al comando
Schumi-Ferrari, roba da impazzire
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Cinque titoli piloti su quindici, sei Mondiali costruttori su sedici e, se non bastasse, 72 Gran Premi vinti su 248 spiegano quanto la grandezza di Michael Schumacher si sia formata all’interno della Ferrari. Fu così che diventarono uno sinonimo dell’altra: i primi numeri sono i successi conseguiti da Michael in rosso, i secondi quelli della Ferrari nei suoi 75 anni vissuti in Formula 1. E infatti. Dici Schumi e ti sovviene il colore rosso, non l’argento della Mercedes con cui aveva poi riaperto e definitivamente chiuso la sua carriera. Solo con Ferrari fu armonia perfetta tra uomo e macchina, un’intesa subliminale che trascendeva i limiti della fisica. Il tedesco è rimasto il riferimento per ogni ambizione recente, presente o futura di Maranello. Dici ferrarista campione del mondo e il concetto richiama l’immagine di Michael, non di Kimi Raikkonen pur essendo stato l’ultimo in ordine di tempo ad avercela fatta.

Schumacher, il Corriere c'era

Schumacher ha segnato record leggendari che il Corriere dello Sport ha raccontato dai circuiti di tutto il mondo, condividendo le emozioni con i propri lettori. Numeri irraggiungibili per chi guiderà in futuro la Ferrari? Non si dovrebbe mai dire, ma siamo di fronte a cifre anomale rispetto alla storia di una squadra e di uno sport, un po’ come nel caso dei gol di Meazza nell’Inter. Però sì, potrebbero anche essere definiti così: irraggiungibili. Per sempre? La risposta vive nell’aforisma keynesiano sul lungo periodo. I record deliziavano Michael, nonostante questi ne parlasse con distacco regale, e solo su insistente richiesta della stampa. Questo comportamento però è comune tra tutti i piloti, e alligna nella loro parte più capricciosa: pensate che il carismatico Lewis Hamilton e l’abrasivo e scostante Max Verstappen – solo per fare due esempi – non se ne curino? Figurarsi.

Schumacher, lacrime per Senna

Schumacher però cercò sempre di non darlo a vedere. Non ci riuscì nella sala stampa di Monza il 10 settembre del 2000 quando – in odor di primo titolo mondiale con la Ferrari, che sarebbe arrivato dopo un mese – scoppiò in lacrime davanti a tutti, alla domanda sulla quarantunesima vittoria con cui aveva eguagliato Ayrton Senna. Un comportamento del tutto differente si registrò nel giorno del settimo Mondiale. Era il 29 agosto 2004: Michael era a Spa e si assicurò quel titolo chiudendo alle spalle di Kimi Raikkonen, che guidava la McLaren.

Schumacher, trionfo e rabbia

La rabbia per la sconfitta in gara prevalse sulla pietra miliare del settimo titolo piloti, che il tedesco aveva appena conficcato sul suolo della Formula 1 e lì è ancora oggi ben piantata. Rimane quello il termine di paragone con cui sta per misurarsi Hamilton, e bizzarramente proprio in Ferrari. Scuro in viso in quella domenica («È comunque un giorno speciale, ringrazio tutti e non dedico nulla a nessuno», borbottò svogliatamente), Schumi si rasserenò solo dopo aver lasciato il Belgio, certificando la sua gioia con l’apposizione delle sette stelle sul casco. Era una Ferrari straordinaria e passò alla storia come la Ferrari di Schumacher. Ma era anche la Ferrari di Montezemolo, naturale erede del carisma di Enzo Ferrari; era la Ferrari di Jean Todt sempre esigente e severo, di Ross Brawn geniale nel saper indicare la rotta, di Rory Byrne che tuttora dà qualche preziosa indicazione tecnica. Era un gruppo straordinario.

Schumacher, record incancellabili

L’hanno rappresentata bene le immagini del GP di Malesia del 2000 quando Montezemolo, Todt, Schumi, Rubens Barrichello e il resto della squadra si travestirono con una parrucca rossa, per salutare il titolo piloti tornato a Maranello due settimane prima, nel GP di Suzuka in Giappone, dopo un’attesa durata ventun anni. Jody Scheckter ce l’aveva fatta per l’ultima volta nel 1979 e la Ferrari aveva giurato a se stessa che mai più il digiuno sarebbe stato così lungo. Il pallottoliere è purtroppo tornato a contare diciotto anni, da Raikkonen campione nel 2007. Alcuni di quei record di Schumacher resistono: i sette Mondiali, sia pure in condominio con Hamilton, l’anticipo con cui si garantì il titolo piloti del 2002 (all’undicesima gara del campionato che ne contava diciassette, pari al 64,7 per cento dell’intero programma). E poi, all’interno della Ferrari: le 72 vittorie di cui dicevamo in apertura (su 91 totali in carriera), i 116 podi (su 155), le 58 pole position (su 68), i 53 giri veloci (su 77). Numeri che sono e rimarranno un monumento alla sua grandezza, ovunque oggi vaghi la sua irreperibile coscienza.


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