ARRIGO IO. Fu il titolo, ideato da Antonio Corbo, in quella stagione capo del calcio al Corriere dello Sport, col quale si tenne a battesimo l’inizio di una nuova era calcistica italiana. Nessuno lo sospettava, molti ironizzavano e mal gliene incolse. All’orizzonte c’era il dominio della Juve di Boniperti e Trapattoni, l’Inter di Rummenigge minacciava di tenerle testa, il Milan di Farina rischiava il fallimento in tribunale. In quello scenario ben scolpito spuntò un ciclone chiamato Silvio Berlusconi, patron di Fininvest e Mediaset, deciso a interrompere quella dittatura e a trasferire nel calcio le sue idee innovative. Per farlo però aveva bisogno di un altro sognatore come lui. Galeotta fu la Coppa Italia. Per due volte mise di fronte il Milan di Liedholm al Parma (serie B) di un tale apprendista chiamato Arrigo Sacchi, romagnolo di Fusignano, calciatore di nessuna fama, poi allenatore specializzato nello scalare tutte le categorie, dalla Primavera del Cesena alla promozione con il Parma, dentro il fuoco di una passione per il calcio olandese. E per due volte quel Parma beffò il maestro svedese e l’ambizioso Milan. Fu allora che scattò un ragionamento semplicissimo, elementare nella testa di Silvio Berlusconi. Disse ai suoi: «Se con calciatori modesti di una squadra di serie B, Sacchi è riuscito a realiz- zare un calcio spettacolare, di sicuro potrebbe fare molto meglio con i nostri».
Arrigo Sacchi, un tornado nel calcio
E andò proprio così. Arrigo Sacchi entrò come un tornado nel calcio italiano rivoluzionando abitudini, allenamenti, scelta degli interpreti e strategia tattica. In pochi mesi, e dopo qualche dolorosa sconfitta (a Lecce in Coppa Uefa contro l’Espanyol 0-2), riuscì a trascinare dalla sua parte uno spogliatoio poco incline ai clamorosi cambiamenti introdotti. Fu insomma un visionario. Al pari del suo presidente che intervenne in uno snodo decisivo della prima stagione “sacchiana” con una riunione negli uffici di Milanello. Berlusconi convocò il gruppo dei calciatori e impiegò 28 secondi per questo annuncio: «Arrigo Sacchi riscuote la nostra completa fiducia. Chi lo seguirà resterà nel Milan, chi non lo seguirà non farà parte del Milan. Buon lavoro a tutti!».
Milan, l'inizio della cavalcata
Cominciò allora una cavalcata preannunciata solo qualche mese prima dallo stesso SB durante la convention estiva (1987) al Castello di Pomerio. Dinanzi allo stato maggiore (calciatori e dirigenti) e minore (tutti i dipendenti del club e di Milanello, dal centralinista all’ultimo massaggiatore) del club, il patron del Milan espose il suo piano: «Dovremo diventare la squadra più forte al mondo». All’uscita da quel convegno il commento sarcastico di Billy Costacurta rimase scolpito sulla pietra. In puro dialetto milanese commentò: “Quest’chì l’è matt’”, questo qui è matto. Non era matto, era semplicemente un visionario, capace di dettare la missione, poi puntualmente eseguita. E infatti quel Milan, confezionato su misura, con gli olandesi interpreti autorevoli del calcio di Arrigo, cominciò a comandare velocemente in Italia e in Europa. E lo fece attraverso un calcio che convinse anche gli scettici, coloro i quali avevano accolto l’omino col megafono arrivato da Fusignano con la puzza sotto il naso, come per dire, ma cosa vuole questo, ma che esperienza ha, quando e dove ha giocato a calcio. Quel Milan vinse lo scudetto, travolgendo l’armata napoletana di Diego Armando Maradona, ma con modalità mai viste prima: convincendo persino il pubblico avversario. Da Napoli, dopo lo scontro diretto dominato, il Milan di Arrigo uscì tra gli applausi del pubblico di casa. Lo stesso trattamento ricevette esattamente un anno dopo quando tornò da Barcellona, sede della finale di Coppa Campioni, con un trionfale 4-0 sulla Steaua di Bucarest. L’Équipe, prestigioso quotidiano sportivo francese, non nascose nella sua prima pagina, la portata storica di quel risultato. Titolò: “Da oggi il calcio non è più lo stesso”. L’Uefa, di recente,ha fatto il resto. E ha eletto quel Milan “la squadra più forte di tutti i tempi”. Credo sia stato il trofeo più prezioso per Arrigo Sacchi che oggi, dal buon ritiro di Milano Marittima, continua a ripetere il suo amore viscerale per un calcio coraggioso e ripetere la sua avversione per il difensivismo all’italiana.