L’Italia di Pablito diventa Leggenda

Gli Azzurri vinsero il Mundial 1982 ben 44 anni dopo l’ultimo trionfo: e nessuno aveva puntato su Bearzot e il suo gruppo
Alberto Polverosi
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In principio fu lo stupore: Italia-Polonia 0-0 il 14 giugno. Francamente ci aspettavamo di più. Poi fu la delusione: Italia-Perù 1-1 il 18 giugno. Non vinciamo una partita, ora si rischia. Alla fine del girone fu la vergogna: 1-1 col Camerun il 23 giugno. Riuscimmo a superare il turno, dietro la Polonia, solo perché avevamo segnato un gol in più del Camerun, due gol fatti e due subiti noi, uno fatto e uno subìto loro. Per una rete evitammo il sorteggio. A Coverciano, allora tempio di Italo Allodi, uno dei giovani allenatori corsisti, Eugenio Fascetti, sbattè la borsa in terra e davanti ai giornalisti dettò la frase che fece epoca: «Mi vergogno di Bearzot». Non era il solo. Tutto il Paese era indignato, tantoché Antonio Matarrese, sensibile agli umori del popolo, all’epoca presidente della Lega, piazzò un’altra di quelle frasi rimaste celebri: «Li prenderei a calci nel culo». Non i camerunensi, ovviamente. La stampa tutta contro Bearzot. Tutta tranne il Guerin Sportivo che aveva fatto una scelta non di campo (perché il campo suggeriva ben altri pensieri), ma di fede. Fra critiche e insulti, l’Italia di Paolo Rossi (che non si reggeva in piedi), Tardelli, Antognoni, Zoff , Scirea, Bruno Conti, Gentile (ne avessimo oggi la metà...) era comunque sbarcata nel girone a tre che precedeva le semifinali. Figuriamoci, in quel gruppo c’erano l’Argentina di Maradona. E Passarella. E Ardiles. E Daniel Bertoni. E Kempes. Erano i campioni del mondo in carica. L’altra squadra era il Brasile di Zico. E Falcao. E Junior. E Socrates. E Cerezo. Ridevano, ridevamo, in Italia. Ma dove andiamo con questa Italia? Continuammo a ridere dopo Italia-Argentina 2-1, ma non per scherno. Ridevamo perché la Nazionale derelitta, quell’ammasso di giocatori che erano stati presi a calci in culo (a parole...) avevano battuto i campioni del mondo. Perché Gentile non aveva fatto vedere palla a Maradona (esageriamo un po’, dai), perché ora Italia-Brasile era una specie di finale del girone visto che la sfida diretta delle due sudamericane da sempre in lotta fra loro era finita con la vittoria della Seleçao per 3-1. A differenza reti, meglio il Brasile dell’Italia, dunque non ci restava che vincere.

La partita del Mondiale

In ogni Mondiale c’è una partita che entra nella leggenda perfino più della finale. Di Mexico ‘70 tutto il mondo ricorderà per sempre Italia-Germania 4-3. In Germania 2006, quella partita non si è giocata a Berlino, la finale con la Francia, ma qualche giorno prima a Dortmund, in semifinale proprio contro i tedeschi che, tanto per cambiare, abbiamo battuto. In Spagna ‘82 la partita delle partite è Italia-Brasile e noi, per arrivare in semifinale, dobbiamo vincere. Si gioca in uno stadio che ora non c’è più, il Sarrìa di Barcellona. E l’inizio ci fa capire capire che tutto è davvero possibile. Segna Paolo Rossi, subito, dopo 5 minuti. Ne passano altri 7 e pareggia Socrates. Altri 13 e segna ancora Paolo. L’Italia, quella davanti alla tv, sta impazzendo. L’Italia, quella in campo, sta giocando la partita dei miracoli. Due a uno per noi alla fine del primo tempo. Poi però Falcao, che pure è amico degli italiani, amico di Bruno Conti, suo compagno nella Roma, pareggia di nuovo. Fossimo stati noi al posto dei brasiliani, col 2-2, la qualificazione in tasca e a 20’ dalla fine, ci saremmo messi dietro e avremmo portato a casa il risultato. Ma loro sono brasiliani, devono dimostrare al mondo che sono i più bravi, così attaccano e così Paolo li punisce di nuovo. Quando segna il 3-2 manca un quarto d’ora alla fine. Tutto il resto, coppa compresa, sembra addirittura poca roba rispetto al leggendario 3-2 del Sarrìa.

Il Gran Finale

Incontriamo in semifinale la Polonia di Lato e Smolarek e Paolo Rossi ne fa altri due. Andiamo in finale a Madrid al Bernabeu, troviamo i traumatizzati tedeschi (per loro è un trauma tutte le volte che ci incontrano) e alziamo la coppa dopo il 3-1. È l’11 luglio, ventisette giorni dopo nessuno si vergogna più degli azzurri campioni del mondo.


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