Il talento di Thoeni e poi la Valanga Azzurra

Gustav parlava poco ma riusciva a trascinare gli altri: i successi di Gros, la crescita di De Chiesa. E tutto il Paese incantato dalle loro imprese
Il talento di Thoeni e poi la Valanga Azzurra
Fulvio Solms
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«Eh eh eh». Il ghigno lo sentivi assieme alla strizzata al braccio. Anche quelli della Valanga Azzurra s’erano abituati: il nostro Aldo Pacor, che per decenni ha seguito anche lo sci rappresentando il Corriere dello Sport in occasione di Olimpiadi e Mondiali, aveva quell’approccio così destrutturato e fisico, così imprevedibile e spiazzante, che gli permetteva sempre di portare a casa qualcosa. Una notizia, una confidenza, una battuta. Anche quando c’era da cavare una parola di bocca a Gustavo Thoeni. Gustav era guida di quel gruppo, carisma silenzioso, esortazione ad ascoltare, saggezza del tacere. Parlava pochissimo e solo se andava detto qualcosa di significativo. I giovani non immaginino la Valanga Azzurra come una disciplinata squadra che procedeva agli ordini di un capitano. Tutt’altro. Le turbolenze erano frequenti, soprattutto tra alcuni atleti e Mario Cotelli, direttore tecnico ma diciamo pure papà di quel gruppo, assieme a Oreste Peccedi. Fu nominata Valanga per la leggendaria cinquina di Berchtesgaden, il gigante del 7 gennaio 1974 in cui Piero Gros al traguardo fu capofila su Thoeni, Erwin Stricker, Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna. Un en plein deflagrante sicché da sport stagionale e di élite, lo sci divenne pop: l’orecchio degli italiani s’incollò alla radiolina in occasione di gare olimpiche, Mondiali o di Coppa del Mondo, e seguitissime presero a essere le dirette televisive, con immagini ancora in bianco e nero e dai bordi nebulosi. L’appellativo di Valanga Azzurra appose il primo tocco di colore. Era una pattuglia sbilanciata sulle discipline tecniche, il che accendeva baruff e quando, nei grandi eventi come Olimpiadi o Mondiali, toccava nominare il quartetto. Esattamente un mese dopo Berchtesgaden, a Sankt Moritz nel corso dei Mondiali, Pacor in un corridoio d’albergo si ritrovò davanti a una scena singolare: Gros aveva attaccato al muro Cotelli e lo teneva lì in alto, con i piedi che quasi non toccavano il pavimento. Il tecnico voleva far correre Stricker al posto suo in slalom. Memorabile anche la sfuriata tra Cotelli e Paolo De Chiesa, lasciato fuori dai Mondiali di Garmisch del 1978, sempre in quelle camere oscure che erano, che sono, i corridoi d’albergo. Il tecnico non se la sentiva di rinunciare al talento di Thoeni, che però in quel periodo negli slalom speciali le prendeva da De Chiesa. Il fenomeno della Valanga – pur ancor privo di quel soprannome – s’annunciò nel 1972 all’Olimpiade di Sapporo. L’Italia vinse di tutto per spegnersi dopo l’Olimpiade di Innsbruck 1976, aggirata dalla curva rotonda di Ingemar Stenmark. Lo svedese mise fuori gioco tutti gli italiani a cominciare dall’enorme talento di Gros, solo parzialmente espresso. Cotelli provò a inculcare quello stile nel modo di sciare dei suoi ragazzi, ma era una forzatura, e come tale destinata al fallimento. Di quel gruppo vanno anche ricordati Rolando Thoeni, Herbert Plank, Fausto Radici, Stefano Anzi, Marcello Varallo, Franco Bieler e Ilario Pegorari. In quelle stagioni, fino a Innsbruck 1976: sei medaglie olimpiche con due ori (Thoeni e Gros), sei medaglie mondiali con quattro ori tutti di Gustav, cinque Coppe del Mondo (Thoeni nel 1971, 1972, 1973, Gros nel 1974, ancora Thoeni nel 1975) e sei di specialità. Il fenomeno esaurì il suo abbrivio nel 1978, con l’argento di Gros in slalom ai Mondiali di Garmisch. Proprio quell’anno stava spuntando il talento di Leo David che, tragicamente, sarebbe durato quanto un bucaneve. Spentosi quel gruppo azzurro, confinato il povero David in un buio altrove che sarebbe durato sei anni, lo sci italiano di vertice scese in profondità come un fiume carsico per riemergere solo un decennio più tardi con Alberto Tomba. Tutto narrato sul Corriere dello Sport con la curiosità, l’effervescenza, la prosa moderna e l’ironia talvolta abrasiva di Pacor


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