Herrera e Rocco, Milano si divide

Un argentino e un triestino si spartirono la città del calcio: il primo puntate sul talento di Suarez, il secondo su Rivera
Herrera e Rocco, Milano si divide
Franco Ordine
4 min

Chi ha voglia di fare una istruttiva passeggiata tra i ricordi e gli allori della Milano calcistica degli anni sessanta non può non partire dalla coppia di condottieri che ne incarnarono stile, temperamento e successi. Ebbene sì: qui parliamo di Nereo Rocco, una sagoma appesantita dalle cene notturne in un ristorante toscano di via Amadei, triestino di formazione e di dialetto, scarpe grosse per via della macelleria di famiglia ma intelletto fino, amico di Gianni Brera, acerrimo critico di Gianni Rivera, e poi di Helenio Herrera, data di nascita incerta nel tentativo di nascondere un anno all’anagrafe ufficiale, argentino formatosi alla scuola spagnola del Barcellona dove coltivò il talento di Luis Suarez che divenne, nella Milano neroazzurra, la musa dell’Inter campione allestita dalla generosità di Angelo Moratti e dall’intuito malandrino di Italo Allodi.

Nobiltà milanese

Sono due monumenti oggi impolverati ma che raccontano con grande chiarezza della nobiltà milanese di quegli anni e della capacità di attrarre, a suon di milioni, campioni di ogni estrazione geografica. A leggere qualche tratto comune c’è di sicuro quello umano del Paron milanista grazie al quale riuscì a mettere insieme un bel gruppo di datati e collaudati calciatori (da Cudicini in porta, Malatrasi libero, Sormani e Hamrin, tutti esponenti della categoria usato sicuro) e il tratto luciferino del Mago interista, partito con l’idea di dare spettacolo e poi, via via, ritiratosi in un “ridotto” difensivo esaltato dalle virtù di un autentico comandante (il capitano Armando Picchi), dal genio geometrico di Suarez e dalla velocità di Sandrino Mazzola e Jair. A completare quel perfetto piano calcistico provvide la tecnica purissima di Mario Corso, poco incline agli allenamenti e ai ritiri del suo allenatore e per questo motivo, iscritto nell’elenco delle cessioni eccellenti da HH puntualmente ogni estate senza che Angelo Moratti cedesse sul punto. Rocco aveva Rivera come uomo simbolo, Herrera rispondeva con Suarez, i due numeri 10 non a caso, i porta-bandiera delle due armate e dei due popoli che cominciarono a duellare in giro per l’Europa e per il mondo oltre che dalle nostre parti. Rocco debuttò a Wembley con i 2 gol di Altafini e vinse la prima Coppa Campioni, Helenio lo imitò l’anno successivo al Prater di Vienna piegando il mitico Real Madrid ormai giunto al capolinea di una sequenza inimitabile. Poi vennero i derby di Milano con l’esaurito di San Siro e le luci delle notti italiane scandite ora da una giocata memorabile, ora da una mossa studiata a tavolino per far saltare i nervi al rivale. Superbi, i due volponi capirono in fretta l’uso dei media, giornali e televisioni pronti a organizzare interviste e a rilanciare la rivalità. Come riconobbe più tardi Oronzo Pugliese, il mago del sud la sua etichetta quasi per ritagliarsi il ruolo di anti-HH, l’arrivo del Mago e lo stipendio percepito contribuirono a migliorare il reddito dell’intera categoria degli allenatori italiani. Il vero successo di entrambi invece fu ben altro: contribuirono a trasformare Milano nella capitale del movimento collezionando scudetti, coppe europee e meravigliose polemiche. Il triestino se la prendeva con Lo Bello, Herrera con qualche cronista che scavava curioso nella sua attività. Malinconico fu il loro tramonto dal grande calcio che stava cambiando adottando nuovi specialisti, non proprio più moderni, Trapattoni alla Juve, Radice al Torino, Liedholm alla Roma. Rocco, tra una esperienza in granata e un’altra a Firenze, finì col tornare alla casa madre di Milanello prima di congedarsi dal calcio e dalla vita in seguito a una brutta bronchite rimediata a Manchester. Fu allora che lo vedemmo trascorrere una lunga notte giocando a carte con Ameri e Ciotti, i due inviati Rai al seguito. Helenio non perse mai l’istinto dell’istrione passando velocemente dalla panchina alla telecamera. Maurizio Mosca lo assoldò per la sua trasmissione “l’Appello del martedì” dove il mago si presentò vestito con la toga da avvocato: bastava quella scena per dare vita a un dibattito incandescente.


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