BRESCIA - Sorride divertito, Jarno Trulli, quando qualcuno gli sussurra la parolina magica “Panama Papers”, la lista dei conti correnti nei paradisi fiscali nei quali è stato inserito anche il suo nominativo. Sorride, ci è abituato. Ma al buon Jarno interessa altro: dal milione di bottiglie di vino che esporta ogni anno in tutto il mondo, a macchine, pista e velocità. Cinque anni sono passati dal suo addio alle corse, alla F.1. E cinque anni ha atteso si creassero le condizioni per far entrare in porto la prima idea presentata quando decise di appendere la casco al chiodo: una Driving Academy per corsi di guida aperti a tutti. In Toyota, la famiglia di Jarno in F.1 dal 2005 al 2009, l’hanno conservata nel freezer per scongelarla e rilanciarla in questi giorni riservandogli il ruolo di Ambasciatore. E l’Academy, per Trulli, diventa l’occasione per fare una panoramica sul suo vecchio mondo, la F.1, dove ha lasciato un bel pezzo di vita.
Trulli, questa F.1 le piace o no?
«L’ho già detto e lo ripeto, la F.1 di oggi non mi piace per tanti motivi. Ci sono alcune cose che non condivido, che potrebbero e dovrebbero essere cambiate. Comunque non sta a me decidere e soprattutto credo che ci siano team abbastanza capaci di prendere decisioni».
Cos’è che proprio non riesce a digerire?
«Se andiamo a guardare la griglia di partenza di oggi, troviamo una grande mancanza di costruttori, gli unici capaci di fare F.1 di alto livello. E questo influenza la qualità dei piloti che arrivano in griglia. Quando correvo io, non esisteva o era quasi inesistente il pilota pagante perché c’era il costruttore che ambiva solamente al risultato finale e investiva sui giovani piloti e li portava fino alla F.1. Ora questo non c’è più, i budget sono elevatissimi. Il costo dei motori, soprattutto, è esasperato. E per propulsori che tecnicamente non hanno nulla che possa essere ripreso e riportato sulle macchine stradali per complessità, costi ed efficienza. Quello che stanno facendo ora in F.1 non ha senso...».
Toyota Driving Academy, in pista con Jarno
Quindi anche la F.1 ibrida non ha senso?
«Se l’ibrido è quello attuale, è troppo esasperato e con una eccessiva complessità, mentre un ibrido con un kers normale andrebbe benissimo. E poi la situazione economica è difficile. Più della metà dei team devono affittare motori dai costruttorie che in alcuni casi vanno a incidere più del 50% sul budget complessivo di un team. Così non si va avanti».
Fosse Ecclestone, quali sarebbero i cinque rimedi immediati che attuerebbe?
«Se fossi, non funziona. Purtroppo non sono Bernie. Certo è che le cose non vanno, come dimostra il calo di interesse dei tifosi, della gente. E non dipende dal dominio Mercedes. Ormai sono in pochissimi che si possono permettere realmente di fare la F.1. C’è Mercedes, Ferrari, che ha una macchina competitiva. Ma poi? La Honda è in forte difficoltà. La Renault tentenna e continua a tentennare. Se vogliamo essere onesti, ci sono tre, forse quattro team, gli altri sono comparse. Tutti costretti a lottare per arrivare in fondo alla stagione a livello economico e qui si torna ai piloti paganti e alla qualità generale che definirei scadente».
Vedere una F.1 in queste condizioni, aiuta a non avere rimpianti per averla lasciata?
«Esatto, non ne ho. Vengo da un’altra generazione. Sono contento di quello che ho fatto, di quello che ho vissuto. E devo dire che mi ritengo fortunato. Ho vissuto forse il più bel momento della F.1, avevamo dieci costruttori, non si poteva volere di più. La realtà è che oggi le cose dovrebbero cambiare perchè il mondo attorno è cambiato. E va fatto per riavvicinare l’appassionato, per rendere la F.1 più facile da capire. Personalmente ho imparato anche dalle categorie fuori dall’Europa. La Nascar, ad esempio, negli anni non è cambiata e questo facilita chi la segue. Il fanatico ti seguirà sempre, il tifoso della domenica invece, se non capisce la gara, quella dopo non la seguirà. Magari si riaffaccia l’anno successivo e trova una F.1 di nuovo rivoluzionata e continua a non capire. Servirebbe una continuità di almeno cinque anni, invece di cambiare a raffica. Ora si pensa di stravolgere tutto di nuovo...».
Cosa manca davvero alla F.1?
«Una visione complessiva. Ma il problema è più ampio. Non decide uno solo, sono in tanti che vogliono farlo. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino e spesso si trovano soluzioni di compromesso che non sempre funzionano».
Sarà un’altra stagione a trazione Mercedes?
«Non ne sono convinto, non gliela darei già vinta. Ho visto una Ferrari in forma, sono convinto che possono dire la loro. La Mercedes è la monoposto da battere, però si sapeva già dallo scorso anno. E Rosberg mi pare più centrato di Hamilton in questo avvio. Ma il pacchetto di Maranello mi pare abbia le capacità di rompere il dominio assoluto dei tedeschi. Ci vuole anche un po’ di fortuna perché finora non ne hanno avuta molta».
Quali piloti di questa generazione avrebbero potuto far bene nella sua epoca?
«I più forti hanno corso con me, li conosco. Hamilton avrebbe fatto la sua figura anche ai miei tempi. Loro sono arrivati alla fine della mia generazione e si sono messi in luce perché se hai il talento alla fine viene fuori. Però io sono nato quando c’era un rapporto più diretto tra pilota e macchina. Dopo è entrata sempre di più l’elettronica, la gestione di sistemi: così è diventata una F.1 videogame. Ed evito di entrare nel discorso delle gomme. Non mi ci vedrei a guidare una F.1 del genere. Io ero abituato a limare le traiettorie attorno alle curve, oggi si lima molto nella messa a punto elettronica e gestionale di questi sistemi. Lo sport di oggi è questo, che piaccia o no. Bisogna adattarsi e la nuova generazione lo sta facendo».