(di Furio Zara) Ibra, prendere o lasciare. Prendere, sempre. Perché come lui nessuno mai. Forte, fortissimo, unico, inimitabile, arrogante, presuntuoso, sgradevole, amabilissimo, faccia da schiaffi, meglio averlo sempre dalla propria parte, uno come lui. Tutto, Ibra. E il contrario di tutto. Come si può non amare uno che come titolo alla sua seconda autobiografia - o seconda parte - sceglie il definitivo: «Io sono il calcio»? Non lo scrive, lo urla. Poi nella retrocopertina fa un passo indietro (piccolo piccolo) e spiega: «Questo è il racconto del mio viaggio al servizio del calcio». Ah, ecco, meglio così Ibra, anche se crederti non è semplice. «Coltiva il tuo talento, credi in te stesso e lavora sodo - scrive Zlatan - nessuno potrà fermarti». Parole sante, che ogni ragazzino che comincia a giocare a calcio dovrebbe ripetersi come un mantra. E nessuno l’ha fermato, visto che sono quasi vent’anni che ne parliamo. Ibra è lampo e tuono insieme, tecnica sopraffina e fisicità bestiale, tutto riassunto in un piede extralarge. Ibra che attacca Guardiola (e ti pareva), Ibra che esalta Gattuso. Ibra che stila - di suo pugno - la formazione ideale dei compagni con cui ha giocato. Indovinate da chi parte? Da se stesso, al centro dell’attacco, al centro del mondo. Buffon? C’è. Messi? Sì. Vieira? Pure. (A proposito: sul francese racconterà una storia da lacrimucce). Professione purosangue, esattamente quello. Non esiste oggi al mondo un totem di tale portata, non lo sono né Cristiano Ronaldo e neppure Messi, sicuramente più talentuosi e decisivi di lui; non lo sono perché di Zlatan Ibrahimovic ce n’è uno solo, perché - come scrive Josè Mourinho - «In Zlatan non c’è niente che sia nella norma». Ibra in tutti questi anni ha migliorato se stesso, ma ha reso (sempre) più forti le squadre in cui ha giocato: Malmoe, Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, Psg, Manchester United e infine Los Angeles Galaxy. «Venivo da un altro pianeta»: comincia così questo libro bellissimo, corredato da foto che parlano (la più straordinaria è l'ultima: in primo piano ci sono i suoi piedi), un’autobiografia ricca di perle preziose e di rivelazioni, un’onda anomala (Ibra lo è) sopra cui salire per lasciarsi trasportare, là dove il calcio diventa romanzo di formazione.
IO SONO IL CALCIO, di Zlatan Ibrahimovic, edizioni Rizzoli, 35 euro
E’ un momento ricco per il tennis in libreria, ecco tre esempi.
Cominciamo dal delizioso volume di Matteo Codignola, editor e traduttore per Adelphi, che ci porta nel tennis del Secondo Dopoguerra, con i suoi personaggi fantastici e bizzarri, dove straordinario era il livello di gioco ma anche - e forse soprattutto, in questi venti racconti, che prendono tutti spunto da una foto del tempo - la personalità, così diversa da quella fin troppo inquadrata e politicamente corretta, tranne sporadici casi, del tennis moderno. Storie meravigliose di campioni del passato più o meno celebri, dai grandi australiani come Hoad e Rosewall alla prima grande coach nella storia del tennis, Eleanor Tech Tennant («Love is just a tennis score, zero», ripeteva alle sue assistite, per evitare distrazioni), da Torben Ulrich e le sue incredibili interviste («Ho vinto? Non saprei, io ho giocato la mia partita e mi sembra che, a un certo punto, lui abbia perso») al tennis surreale di Beppe Merlo, “l’ultima fila dell’autobus”, come si definì quando entrò a far parte del gruppo dei professionisti della racchetta, dall’eleganza immortale del rovescio di Pietrangeli all’eccessivo vitalismo di Pancho Gonzalez, forse davvero il più grande di tutti. Un tennis dei gesti bianchi, uno sport elegante nel quale però si nascondevano tensioni e rivalità fortissime, dove i pro’ si sfidavano cento e più volte in un anno su campi spesso improbabili mentre gli “amateur” trascorrevano la stagione invernale sui terreni assolati della Costa Azzurra per poi trasferirsi al Roland Garros e sui sacri prati di Wimbledon. Un libro splendido, una chicca per gli appassionati.
I più giovani lo conoscono soprattutto come commentatore televisivo per Sky ma Luca Bottazzi è stato un giocatore professionista di buon livello ed ora è un insegnante e un appassionato studioso della materia. Dopo un bel libro di qualche anno fa costruito partendo dal tennis di Big Bill Tilden, questa volta si è cimentato nella storia dello sport della racchetta, partendo dalle origini aristocratiche di un gioco praticato presso le corti dei Tudor e degli Asburgo per poi arrivare - attraverso numerose trasformazioni, anche sociali - nello sport globale e miliardario che conosciamo ora. Introdotto da quel grande campione che fu John Newcombe e accompagnato da uno splendido corollario fotografico in bianco e nero, è un affascinante viaggio nell’evoluzione del sport della racchetta (che è anche evoluzione dei costumi e dei materiali utilizzati) dal Lawn Tennis dei pionieri ai supercampioni del 2018. Dieci capitoli arricchiti da utili appendici, dove i campioni del periodo vengono suddivisi a seconda delle loro caratteristiche di gioco, dove spicca non a caso l’immensa e non inquadrabile qualità di Federer, “giocatore a tutto campo”. A chiudere, una ricca sfilza di numeri e statistiche, aggiornate alla vittoria di Djokovic a Flushing Meadows di settembre.
Il terzo libro è il racconto della nascita e dello sviluppo del tennis in Argentina ma soprattutto la biografia di una atleta probabilmente poco conosciuta da noi, la prima giocatrice argentina di livello internazionale, probabilmente la più forte in assoluto del paese sudamericano dopo Gabriela Sabatini, scritta da chi l’ha conosciuta bene. Mary Teran - sposata con il capitano di Davis, Heraldo Weiss - fu numero uno del suo paese negli Anni Quaranta, e decima nel ranking mondiale del 1952. Bella, capace di un tennis leggiadro ma efficace, sempre elegante con i completi che il famoso sarto delle tenniste, Ted Tinling, le creava su misura, divenne subito molto popolare. In prima linea nel tentativo di trasformare il suo tennis in uno sport per tutti, simpatizzò con il primo peronismo, cosa che finì inevitabilmente per penalizzarla. Alla morte di Peròn le fu impedito di giocare in Argentina poi quando tornò dall’esilio in Uruguay le avversarie si rifiutarono in più occasioni di affrontarla. Abbandonato il tennis, se ne andò in Spagna. Tornata in Argentina, l’8 dicembre del 1984, a 66 anni, si suicidò lanciandosi dal settimo piano della sua abitazione di Mar del Plata. Dimenticata per anni, nel 2007 le è stato intitolato lo stadio nel Parque Roca, a Buenos Aires.
VITE BREVI DI TENNISTI EMERGENTI, di Matteo Codignola, Adelphi Edizioni, 290 pagine, 22 euro.
TENNIS, 100 anni di storie; di Luca Bottazzi, Giunti editore, 287 pagine, 26 euro.
MARY TERAN DE WEISS, la tennista del popolo; di Roberto Andersen, Bradipolibri, 129 pagine, 14 euro.