«Il mio approccio calmo alla leadership a qualcuno potrà sembrare troppo soft, forse perfino un segno di debolezza, ma io non sono d’accordo. Il tipo di calma che intendo io è una forza. E’ una calma che trasuda potere e autorità, in cui si costruisce un rapporto di fiducia e in cui si prendono decisioni con nonchalance, usando il carisma e la persuasione, e mantenendo sempre un atteggiamento professionale. Il mio approccio nasce dall’idea che un leader non dovrebbe mai aver bisogno di imprecare, sbracciarsi oppure usare il pugno di ferro, il suo potere è implicito». In queste poche righe il sunto del credo tecnico di Carlo Ancelotti. Da allenatore, la sua “via emiliana” si distingue nettamente da quella degli agitapopoli come Mourinho e Conte ma anche dal freddo modo di affrontare le partite proprio di strateghi come Guardiola o Luis Enrique. E i risultati non ne hanno risentito affatto, se è vero che il tecnico di Reggiolo è riuscito a vincere tre Champions League e tre campionati in tre Paesi diversi. Qui Ancelotti spiega - rivolgendosi anche ad una platea di manager non sportivi - il suo modo di essere un “leader calmo”, con uno stile improntato all’autoironia, al fair play ed al rispetto dei giocatori. Cosa che però non vuol dire rinunciare a prendere decisioni anche impopolari. Racconta come ha saputo gestire - ottenendo sempre risultati importanti - ambienti complicati e pressioni molto pesanti, a Parigi come a Madrid, a Londra come a Milano fino ad arrivare a Monaco di Baviera. Parte dagli insegnamenti di Liedholm alla Roma per raccontare i suoi rapporti con gli atleti di spicco, la sua capacità di far sentire tutti importanti, di scegliere comunque un leader in campo (come Sergio Ramos al Real) e i suoi rapporti non semplici con presidenti ingombranti come Abramovich o Perez. Ad arricchire il libro, gli interventi di chi ha lavorato con lui o comunque lo conosce bene, da Ibrahimovic (che non risparmia le solite frecciate a Guardiola) a Terry, da Cristiano Ronaldo a Maldini. E poi Galliani, Bechkam, Ferguson…
IL LEADER CALMO, come conquistare menti, cuori e vittorie; di Carlo Ancelotti con Chris Brady e Mike Forde; Rizzoli Editore, 334 pagine, 18 euro.
(Furio Zara) Ripescare la storia di Làszlò Kubala significa ridare un senso alla storia, anche a quella che abbiamo - colpevolmente - dimenticato. Kubala, «campione, ribelle, sognatore, anticonformista», nato a Budapest, papà ungherese, mamma slovacca, fu uno dei più grandi calciatori del suo tempo, gli anni ‘50. Fisico tozzo ma robusto, piede annaffiato da una fontana di fantasia. Mica per niente quando ai tifosi del Barcellona, nel 1999, chiesero di votare il miglior giocatore blaugrana di sempre, è lui che incoronarono. Ebbe una vita straordinaria, rocambolesca, vissuta sempre sull’orlo del precipizio, umano e professionale, di quelle vite che - a leggerle - ad ogni due pagine ci fanno sobbalzare dal divano. La fabbrica da bimbo, la fuga dal regime socialista, l’addio alla famiglia, la tragedia di Superga scampata per un soffio, per una carezza del destino, la squalifica a vita, il campo profughi a Cinecittà, dove giocava l’Hungaria, «la squadra che non c’è». L’autore, Lorenzo De Alexandris, ripercorre le gesta del campione ma soprattutto dell’uomo, ne svela i segreti, ne condivide i retroscena. Scopriamo, per esempio, che Kubala ha (non) giocato con la Pro Patria. «Pazzesco!!!», urlerebbe un qualsiasi telecronista di oggi a corto di aggettivi. Da allenatore Kubala (ct della Spagna dal 1969 al 1980, prima e dopo due coppe di Spagna e una Coppa delle Coppe con Barcellona) è stato un innovatore. Ma questa è un’altra storia. Per ora accontentatevi di quella (bellissima) raccontata in questo libro.
PIU’ CHE UN CALCIATORE, l’incredibile storia di Làszlo Kubala, di Lorenzo De Alexandris, edizioni UltraSport, 140 pagine, 15 euro.