L’epilogo di Glass

Shyamalan al terzo appuntamento con Bruce Willis, James McAvoy e Samuel L. Jackson
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Si chiude la trilogia aperta con Unbreakable, sorprendentemente proseguita con Split e dal 17 gennaio chiusa con Glass. M. Night Shyamalan dedica a ciascuno dei suoi tre personaggi un titolo, ma quel che sorprende è che se il primo era interamente dedicato all’origin story di David Dunn (Bruce Willis) e come l’incontro con Elijah Price (Samuel L. Jackson), alias l’Uomo di Vetro, ne ha determinato la scoperta dei superpoteri, se il secondo raccontava la folle Orda di cui fa parte Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), in questo Glass il personaggio del titolo è tenuto per tre quarti del film in uno stato catatonico, mentre sono sempre l’eroe e la sua nemesi a dominare la scena. 

Diciotto anni dopo averlo lasciato in Unbreakable, oggi David Dunn è sulle tracce dell’Orda, come avevamo visto al termine di Split. Lo trova, ma nella lotta, entrambi sono arrestati e rinchiusi in un manicomio criminale dove la dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson) cerca di curare la loro mania di grandezza ovvero pensare di essere dei supereroi.Purtroppo Shyamalan fallisce l’appuntamento con la degna chiosa di due film così importanti nella sua filmografia. Se il discorso sull’influenza del fumetto e dell’immaginario supereroistico nel nostro tempo è senz’altro interessante e la regia è coraggiosa nello sfidare lo spettatore con lunghi e verbosi primi piani, la noia è la cifra stilistica più consistente di Glass. Colpa di una sceneggiatura raffazzonata che non permette di entrare in contatto fino in fondo con i personaggi e alcuni snodi narrativi totalmente inverosimili anche per un film su uomini dotati di superpoteri.

Notevole ancora una volta McAvoy, capace di trasmutare corpo, voce e volto a seconda del personaggio di Crumb e la giovane Anya Taylor-Joy, dopo Split, ancora una volta una bella sorpresa.


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