Guido ha la sindrome di Asperger e una grande passione per la cucina. Lo aiuta Anna, la responsabile dei servizi sociali a cui è affidato, che cerca di rendere indipendente lui e gli altri ragazzi che le sono affidati. Quando arriva Arturo, chef talentuoso condannato per rissa che deve finire di scontare la sua pena ai servizi sociali, per Guido si apre un mondo con la partecipazione a un talent di cucina che lo farà uscire dal guscio. Quanto Basta è una commedia dei buoni sentimenti con un cast in forma e tanti buoni propositi. Se Luigi Fedele sorprende per come si immedesima in Guido e il suo disturbo, Vinicio Marchioni nei panni di Arturo e Valeria Solarino in quelli di Anna, sono solidi interpreti in due ruoli non stereotipati.
Quelle con Valeria Solarino non sono mai interviste scontate, la sua passione, la voglia di vita e l’amore per il mestiere traspaiono da ogni sua risposta. «Mi innamoro della storia, a prescindere dal mio personaggio. E ciò che emerge da Quanto Basta è il rapporto e le relazioni che si intessono tra i personaggi, in particolare tra Guido e Arturo. La mia Anna fa da ponte, è la psicologa del centro che prende a cuore la situazione del ragazzino, rimasto senza i genitori, e sappiamo che, per chi è affetto da questi problemi, le figure del papà e della mamma sono fondamentali. Lei cerca di introdurlo nella società e di renderlo il più possibile indipendente perché sa che, prima o poi, i nonni non ci saranno più e lui sarà solo al mondo. Mi piaceva il rapporto tra queste persone così apparentemente diverse, ma in realtà con una sensibilità molto forte che è il loro tratto distintivo che ho riscontrato frequentando questi ragazzi. Tutti loro nel film sono realmente affetti dalla Sindrome di Asperger, a parte Guido, il protagonista».
Come hai scelto di raccontare la tua Anna?
«Non volevo mostrare una donna problematica, con un passato di un certo tipo, ma una donna che si dedica agli altri, la dedizione che non ha niente di mistico. Anna non è una santa, ma si occupa in modo molto concreto e fisico dei suoi ragazzi. La prima immagine di lei è mentre lavora nei campi, non è una psicologa da studio che fa le relazioni, lei si sporca le mani, li segue in tutte le attività principali».
Sei reduce da una bella esperienza teatrale in Una giornata particolare, tratto dal film di Scola con Mastroianni e Loren. Come è stato confrontarsi col mito?
«Quando tre anni fa mi è stato proposto è stato una regalo. Non ho pensato alla Loren, a Mastroianni, al paragone che sarebbe stato immediato, ma alla grande opportunità che mi veniva offerta, interpretare un personaggio così bello, farlo rivivere a teatro, pronunciare ogni sera quelle parole. Sarò stata incosciente, ma era tanta la voglia di interpretare Antonietta che non ho proprio esitato. Noi siamo molto fedeli al testo di Scola, ma c’è anche qualcosa di diverso, perché il teatro è diverso, i nostri personaggi sono stati vissuti in un altro modo. Il mio si distacca anche a livello linguistico dall’originale, le ho dato un’inflessione siciliana in certi punti (mentre la Loren parlava romanesco misto al napoletano) per renderlo più mio, insieme ad altri particolari. La soddisfazione più bella è che il pubblico entrava ricordando il film ma piano piano se lo dimenticavano. Sono davvero molto orgogliosa e felice di questo lavoro, portato in giro per tre stagioni con grande successo. Una cosa bella della quale non finisco mai di stupirmi è stato il teatro pieno fino all’ultima replica, una grande sorpresa perché purtroppo non è scontato avere i teatri pieni al giorno d’oggi».