Prova d’attrice affilata come un coltello per Isabelle Huppert in Elle. Candidata all’Oscar (andato poi a Emma Stone per La La Land) l’attrice francese è protagonista di un film che non ha mancato di fare scandalo. Michele è un’imprenditrice di successo del settore videogiochi, ha avuto un’infanzia problematica perché il padre un giorno ha preso un’ascia e ha massacrato i vicini di casa, un divorzio alle spalle e un figlio adulto solo nella carta di identità che ha messo incinta una ragazza che sembra tenga più ai soldi di sua madre che a lui. Vive da sola in un quartiere elegante di Parigi ma un giorno subisce uno stupro in casa. Michele decide di non denunciare l’accaduto, continua la sua vita ma cerca di rintracciare il suo assalitore con cui inizia un gioco pericoloso.
Tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, il regista Paul Verhoeven ha accettato la sfida di Isabelle Huppert di non girare il film negli States con un cast hollivudiano che lo avrebbe inevitabilmente condizionato su temi tanto difficili, ma di riportarlo lì dove è nato, in Francia. Il regista di Black Book, Showgirls, Starship Troopers e Basic Instinct ha anche scelto di cambiare il titolo optando su Elle (lei) per evidenziare il ruolo assolutamente preminente del personaggio della Huppert. Michele è una donna di potere e che per questo motivo non ha mai paura di dire quello che pensa; schietta e spietata, usa il sesso allo stesso modo, fino al giorno della sua aggressione. Qui arriva di fronte a una scelta, se essere vittima o carnefice.
Acclamato dalla critica e dal pubblico del Festival di Cannes, Elle ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il Golden Globe per il Miglior film straniero e la Migliore attrice protagonista e il César per il Miglior Film e la Migliore attrice protagonista. Verhoeven ha costruito un thriller alla Hitchcock incentrato sulle emozioni e le pulsioni amorali della sua protagonista. L’impianto algido e alto borghese della messa in scena ci catapulta nel mondo di una donna privata delle sue emozioni – nel libro Michele è la voce narrante e quindi il lettore percepisce tutto ciò che pensa e prova mentre nel film sembra una macchina ideata per litigare e assecondare le pulsioni più intime – ma tutti i personaggi sono disumanizzati a colpi di satira sociale e qualunquismo nelle loro esistenze agiate e ormai insensibili a qualsiasi sollecitazione. Solo il figlio di Michele e la sua fidanzata rispondono ancora a emozioni reali. Elle usa così tutti i colori della paletta di un regista – la commedia, l’horror, il noir – per calarci in una storia difficile da sopportare accompaganti da un’attrice e donna in stato di grazia.