Ormai lo sanno tutti: l’attività fisica e il movimento sono strettamente legati alla nostra salute e al nostro benessere. Una vita troppo sedentaria, si sa, non aiuta a vivere bene, e non è una questione meramente estetica. A confermarlo, un recente studio condotto dai membri della University of California-San Diego (UCSD) pubblicato sull’American Journal of Epidemiology, secondo il quale la sedentarietà accelera l’invecchiamento cellulare.
Stare troppe ore seduti, soprattutto a una certa età e quando si svolgono determinati lavori, priverebbe i soggetti di ben otto anni di vita. A influenzare questo processo anche altri fattori dello stile di vita, come il fumo, il consumo di alcol e lo stress. La ricerca si basa su un campione di 1.481 donne anziane, con un’età Media di 79 anni, parte di un più ampio campione che ha partecipato alla Women’s Health Initiative, un’analisi nazionale sulle malattie croniche e la menopausa. Alle partecipanti è stato installato un accelerometro sul fianco destro per sette giorni consecutivi sia durante le ore di veglia che durante le ore di sonno così da monitorarne tutti i movimenti. Altro fattore preso in considerazione e studiato, la lunghezza dei telomeri, ovvero le estremità dei cromosomi, sezioni di DNA associate all’invecchiamento e alle malattie. Le donne hanno poi completato dei questionari per raccontare le loro abitudini e i loro stili di vita.
Ne è emerso che coloro che svolgevano meno di 40 minuti di attività fisica al giorno avevano dei telomeri più corti. Queste donne, quindi, sono soggette a un invecchiamento cellulare maggiore rispetto alle coetanee che invece conducono una vita in movimento. L’invecchiamento, quindi, non riguarda soltanto l’estetica, dalla comparsa di rughe al deterioramento della pelle, ma anche e soprattutto l’aumento del rischio di malattie cardiovascolari e cardiache. Il nostro studio ha rivelato che le cellule invecchiano più velocemente con uno stile di vita sedentario. L’età anagrafica non sempre corrisponde all’età biologica, ha concluso il dottor Aladdin Shadyab, uno dei membri dell’equipe di ricerca.