ROMA - Prima di parlare di Mario Balotelli e del suo ritorno in Nazionale in una partita ufficiale, è necessaria una premessa: se siamo ridotti a quanto si è visto negli ultimi 26 mesi non è colpa sua, semplicemente perché lui non c’era. E se contro la Polonia non siamo usciti dal grigiore di quest’ultimo biennio è colpa sua come di Insigne, Pellegrini, Gagliardini, Zappacosta e Jorginho. Insomma, è in buona compagnia. Parliamo di Mario perché è il centravanti scelto da Mancini per la prima partita ufficiale della sua stagione e preferito a Immobile e Belotti. Scelta sbagliata per evidenti ragioni, la prima legata alla condizione di Balotelli. Ora che l’onda mediatica sul personaggio sembra aver esaurito la sua corsa febbrile, possiamo soffermarci sull’unico aspetto che doveva interessare ai critici: il giocatore.
MENTALITÀ - Siamo di fronte a uno dei più grandi equivoci dell’ultimo decennio. Mario Balotelli non è un fenomeno. Poteva diventarlo con un’altra mente, un altro spirito, un diverso pensiero di se stesso, ma appena si è avvicinato a questa dimensione (parliamo dell’Europeo 2012) ha pensato di averla già conquistata per l’intera carriera e così non c’è mai arrivato. Mario è un mostro fisicamente, ha una potenza atletica da far paura (quando sta bene, non ora che si è presentato in campo dopo aver perso “otto grammi”, sfiorando la tripla cifra sulla bilancia), ha una buona tecnica (ha il tiro da 9, ma per il resto giocatori come Insigne, Chiesa, Bernardeschi, Verratti gli sono decisamente superiori) ed è scarso, molto scarso, tatticamente. Non è possibile che un giocatore della sua età, che torna a riprendersi la Nazionale per gentile concessione del ct dopo una lunga assenza nelle gare ufficiali, debba costringere quest’ultimo a continui richiami sui movimenti. Com’era nel 2014, in Brasile, così è adesso.
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