ROMA - Testimone dell’epifania. C’era un ragazzino che dava sul biondo, addosso tutti i colori dei suoi 17 anni, e giocava perché alla Roma avevano perso il conto degli infortuni e delle squalifiche. Era il 16 dicembre 1993, quasi Natale in realtà. Il primo pallone spiove al limite dell’area, il ragazzino lo aggancia di tacco e il gioco si apre in due, il pallone all’indietro, il tacco e tutto il resto a molla in avanti verso il centro dell’area.
Il testimone è lì sulla trequarti. Si chiama Massimiliano Cappioli e non arriva sul pallone, un po’ esterrefatto, un po’ eccessivamente marcato. Francesco Totti si rivela così a chi non lo conosceva. Non a Cappioli e agli altri compagni. «Noi lo conoscevamo e quello che si scorgeva da fuori era solo una parte di quanto si avvertiva in campo. Impressionante. E cosciente delle sue qualità. Oggi lo vedete taciturno, quasi in disparte, ma solo perché non gli serve alzare la voce. Anche da ragazzino tutti lo conoscevano e lui si faceva sentire».
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E VENNE TOTTI - Sampdoria-Roma, ottavi di Coppa Italia. Fu la partita di Totti e avrebbe dovuto essere quella di Cappioli. «Vincemmo 2-1, ero anch’io all’esordio nel torneo con la Roma e la doppietta fu mia». La Sampdoria in realtà passò il turno ai rigori.
La Roma ripiegò i suoi resti, ci aggiunse Totti e uscì dal campo con il vago presagio di un futuro in rapida costruzione. Almeno, Cappioli la ricorda così. «
Eravamo una bella squadra. Diversi romani, tanti italiani. A me manca lo scudetto e quello è l’unico rimpianto della mia carriera, forse della mia vita. Poi penso che a Roma hanno vinto solo tre allenatori e la malinconia mi passa». Ranieri lo chiamava Cavallo Pazzo, ma non alla Roma, al Cagliari. Carlo Mazzone lo chiamava Cappio e gli rinfacciava le avventure ammucchiate senza criterio.
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