NAPOLI - Aaa cercansi i gol, disperatamente, rovistando in se stessi, andando a raschiare il fondo del talento, guardandosi un po’ alle spalle - un anno fa, ad esempio - e ripescando quei gesti, quelle movenze, quella postura, quella ferocia ch’è svanita, così, senza che ci sia un perché. E servirà depurarsi, gettare l’acqua sporca ma mica il bambino ch’è in loro - in Insigne e Mertens - per recuperare quella vena assai poetica che li ha ispirati nei momenti felici e pure in quelli bui, quando gli è bastata una parabola, una diavoleria, un pallonetto per andare a lustrar le stelle.
AHIA - Gli attaccanti, non dategli retta, vivono per il gol, lo inseguono, lo lusingano, l’accarezzano nei pensieri sparsi di qualsiasi vigilia, perché quella è autostima ma anche felicità da regalarsi: e immaginate un po’ cosa diavolo passi ora nella testa di Lorenzino Insigne, intrufolatosi in quel tunnel dal 2 novembre scorso. Se ne sono volati via tre mesi esatti ed è un’eternità per chi vive amabilmente ossessionato da quella tentazione, da chi nelle otto successive partite (di campionato) ci ha provato trentaquattro volte, da chi ha sbattuto per quattro volte contro pali o traverse ed ora vorrebbe capovolgere il mondo. Ma è il calcio, lo sa Dries Mertens, che ha scoperto un’esistenza sconosciuta due anni, travestendosi da bomber, e si è accorto, ha sospetto, che il suo calcio era divenuto altro: una veronica, un lob, una sciccheria, una sequenza di capolavori da artista fiammingo. Poi la vena si è inaridita e quel talento eccezionale, una sorgente d’idee, s’è piegato alla normalità: sta segnando come un attaccante qualsiasi, cosa volete che rappresentino undici reti per chi, dodici mesi fa, di questi tempi, era già a sedici?
Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale del Corriere dello Sport-Stadio