TORINO - I gol di Higuain. La classe di Dybala. Il palleggio di Pjanic. I riflessi di Buffon. I tackle di Chiellini. Il piglio di Bonucci. I ripieghi di Mandzukic. Le discese di Dani Alves. I dribbling di Cuadrado... Scene da uno scudetto, il sesto di fila, impresa mai riuscita nella storia della Serie A, ma il vero protagonista, benché tenda a defilarsi, a lasciare il palco alla squadra, a ricordare che un allenatore «deve solo fare meno danni possibile», è di sicuro Massimiliano Allegri.
Per lui è il terzo campionato vinto e il settimo titolo conquistato in tre anni, dopo aver trionfato in finale di Coppa Italia e aspettando il sogno Champions: già basta per staccare Antonio Conte e isolarsi sul podio dei tecnici bianconeri più vincenti di sempre, preceduto soltanto dalle leggende Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi che però hanno avuto tanti anni in più per alzare, rispettivamente, 14 e 13 trofei.
SVOLTA TATTICA - In questo campionato splendido, in questa stagione trionfale, è stato determinante con la tranquillità trasmessa, con la carica infusa, con scelte tattiche felici che hanno spianato vittorie chiave, ma soprattutto con il cambio di modulo, il conio del 4-2-3-1: la svolta è arrivata il 22 gennaio contro la Lazio, quando ha schierato contemporaneamente per la prima volta Pjanic, Cuadrado, Dybala, Mandzukic e Higuain.
Alla lettura delle formazioni, s’incrociavano sguardi increduli, c’era chi parlava di provocazione e chi di follia, ma Max sapeva di potersi fidare dei suoi uomini: è il sacrificio di attaccanti e centrocampisti, infatti, ad assicurare equilibrio a una
Juventus in apparenza sbilanciata, restituendo entusiasmo a una squadra che s’era in effetti adagiata su un 3-5-2 ormai stantio. Da tempo ci pensava, ma ha deciso d’istinto: dopo la sconfitta di Firenze, ha deciso che era il momento di cambiare e cambiando ha centrato il terzo scudetto consecutivo, il quarto della carriera dopo quello con il Milan.
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