Inter, Icardi: «Io sono il gol!»

La sua idea del calcio è basica come la sua vita: ««Buttarla dentro la mia missione, ho sempre vissuto per questo. Urlo spesso con la mia squadra ma la fascia non mi ha cambiato»
di Ivan Zazzaroni
5 min

Mauro Icardi ha un’idea strepitosamente basica e definitiva del gioco del calcio. Parte dal ruolo, il suo, e dai compiti non a casa ma di campo: «L’attaccante deve fare gol, il centrocampista gioco, il difensore deve difendere e il portiere parare».Chiuso. E non c’è stato, non c’è, né potrà mai esserci uno Spalletti Mancini Pioli De Boer Mazzarri Stramaccioni capace di fargliela cambiare. L’idea definitiva. Uomo di un solo mestiere, il cannoniere, si definisce «un freddo», strano modo di essere argentino, risponde con molti sorrisi, ma non interpreta un’occhiata, non coglie un gesto, tira dritto con una consapevolezza di sé e una sicurezza che conquistano. L’attaccante deve fare gol, comincio da qui. Dopo qualche mese di allenamenti all’Inter Mancini mi confidò che “se Mauro fosse anche capace di giocare a calcio sarebbe un fenomeno” - non ho mai capito se la sua fosse una battuta o una constatazione. Non si scompone. «Io penso che con i gol posso fare tanta strada, in questo sport conta fare gol, possibilmente uno più degli avversari. Si parla troppo spesso della mia partecipazione al gioco, che per molti è scarsa, insomma insufficiente, ma non mi frega niente di quello che dicono i giornalisti, i critici. Conosco un solo modo di aiutare i compagni e l’allenatore ed è quello di buttarla dentro. Ho sempre vissuto per il gol, anche da piccolo ne segnavo tanti. Ho la capacità di farli, devo farli. Come la chiamate? Una missione?, ecco, è la mia missione. Ero questo alla Samp, sono questo da sei anni all’Inter. Ho fatto 100 gol in più rispetto a quando ero a Genova, ma come giocatore sono esattamente lo stesso di allora. Se qualcuno trova che non sia migliorato, pazienza».

Due tipi di leader, c’è quello silenzioso ma di soluzioni e quello che nello spogliatoio e in campo si fa sentire. Sei del primo.

«Io urlo, ogni tanto alzo la voce anche con i compagni. Non è stata la fascia a cambiarmi, io sono così, fedele alle mie scelte e con degli obiettivi molto chiari. Di me parlo pochissimo, sono rare le interviste e le mie cose non si sanno. Pubblico qualche foto su Instagram, non aggiungo parole, considerazioni, la porta d’ingresso alla mia intimità è sempre chiusa».

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Ventotto punti, il Napoli a un passo, la Juve lontana, gli ottavi di Champions ancora possibili: è l’Inter che immaginavi?

«La squadra è più completa che in passato, sicuro. Abbiamo perso qualcosa all’inizio, nelle prime due, tre partite abbiamo lasciato per strada dei punti. Se avessimo giocato da Inter, avremmo avuto qualche punto in più. Quando pensavamo di aver trovato continuità c’è stata la caduta di Bergamo. Niente da dire, loro sono stati più bravi di noi».

Mai pensato di andare via?

«Lo devono dire loro (indica Ausilio, nda). Io ho sempre chiarito i miei obiettivi: il primo, tornare in Champions con l’Inter e l’abbiamo raggiunta. Il secondo, vincere qualcosa con l’Inter. Il direttore ha fatto una buona squadra pur non potendo spendere molto, ha preso solo parametri zero».

Altra risata. Non hai ancora rinnovato, anche se il contratto scade nel 2021. Pippo Inzaghi pretendeva il rinnovo dopo ogni gol, quand’era alla Juve.

«Quando sarà il momento rinnoveremo. C’è tempo».

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Il tuo sembra ancora un calcio molto naturale, quasi istintivo.

«Non è un calcio che alleno, ce l’ho dentro. So che devo avere la capacità di rubare l’attimo al difensore. Mi può bastare un secondo ».

In lontananza si sentono ancora le sirene del Real.

«Non mi sembra questo il momento giusto, visti i risultati. E poi sto bene dove sto».

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