ROMA - Avvolti in una nuvola di fumo, che è il suo modo di mandare messaggi, molti ancora si chiedono cosa ci sia oltre Zeman. Possibile, urlano e sbraitano, che il calcio ancora si ostini a inseguire un allenatore che non ha mai vinto nulla, ha fallito (secondo loro) nelle grandi piazze, ha infilato un insuccesso dietro l’altro, trascinandosi dietro – a quasi settant’anni – una difesa talmente indifendibile da sembrare un folle esercizio di coerenza?
Già, è possibile. Ed è possibile che il calcio abbia dimenticato in fretta i cultori della vittoria da consegnare agli almanacchi – come unica religione di un mondo perfettamente sferico – e continui ad inseguire il paradosso di un allenatore fuori da qualsiasi albo – ancor di più quello d’oro – ed il suo calcio così legato ad un unico, e paradossale, modulo. Non sarebbe stata una notizia se un qualsiasi altro allenatore fosse tornato in pista: il suo sì è stato invece salutato dalla curiosità e dai clic di un suo partito personale. Lui che sa conquistare una platea, convincerla e blandirla, stupirla ed irretirla, semplicemente con i suoi silenzi. Il più grande comunicatore del pallone. Vi diranno che il Pescara si è autocondannato al fascino di una scommessa da perdenti, perché il pallone è fatto per chi la butta dentro, arriva primo, in una galassia in cui due più due fa sempre quattro.